Nuzzi a Trieste True Crime: «L’innocentismo sfrenato è una fabbrica di fake news»

Il giornalista mette in guardia dagli influencer che manipolano i casi: «Una volta eravamo tutti calciatori, poi tutti chef, ora siamo tutti investigatori»

Valeria Pace
Gianluigi Nuzzi a Trieste True Crime
Gianluigi Nuzzi a Trieste True Crime

«Io sono un cronista, non un investigatore», lo sottolinea Gianluigi Nuzzi, e lo rivendica con orgoglio. Mette in evidenza i pericoli di seguire chi vorrebbe sostituirsi a chi indaga per davvero, sia tra i giornalisti che tra gli influencer.

«Una volta eravamo tutti calciatori, poi tutti chef, ora siamo tutti investigatori», afferma, suscitando le risate della platea. Il dialogo sul palco di Trieste True Crime con Alessandro Politi si concentra sul tema del giornalismo investigativo.

Vittime, carnefici, gialli inchieste e spettatori: il fenomeno soap-crime svelato a Trieste
La redazione
Francesco Sidoti e Roberta Bruzzone. foto di Massimo Silvano

«L’innocentismo sfrenato», una delle ultime mode tra chi segue il true crime, è «una fabbrica di fake news» e ha come conseguenze che «la gente non crede più nella giustizia».

Così porta gli esempi della strage di Erba, del caso di Yara Gambirasio. Certo, «non voglio dire che la giustizia non sbaglia mai. Ogni volta che tossisco mi ricordo di Enzo Tortora, malato di tumore, che tossiva in maniera terribile, avevo 17 anni quando lo conobbi», nominando una delle vittime simbolo di errori giudiziari. Ma sta di fatto che quando si perde la fiducia nella giustizia è un problema: «Ne va dei diritti di tutti noi».

Insiste sui problemi causati dalla disinformazione: «Se vai nel mondo dell’informazione trovi un sacco di voci che non sono qualificate e i magistrati fanno anche degli errori. Penso al caso di Garlasco, quando la procura di Pavia ha risposto a quanto affermato da Fabrizio Corona in una puntata di Falsissimo, ha fatto un errore gravissimo, perché l’ha reso un interlocutore valido».

Ma che cos’è allora il giornalismo d’inchiesta? «Andare a una profondità tale a cui un cittadino normale non può andare. Ma non è semplicemente riportare gli atti giudiziari, è portare una sensibilità diversa».

E così racconta dell’inchiesta sulla Terrazza sentimento, l’inferno per le ragazze adescate, drogate e abusate da Alberto Genovese. «Un predatore seriale, come tutti i predatori».

E ricorda la sua prima inchiestina da collaboratore del Giornale a Milano, diretto allora da Indro Montanelli: «Ero un ragazzo di bottega».

All’epoca Nuzzi scoprì che quello che all’epoca era l’unico locale in cui si facevano spogliarelli in città era legato alla Chiesa. «Lo sentii a una festa, lo disse un avvocato, sembrava una boutade, ma lì mi si è acceso qualcosa e ho approfondito: scoprii che i muri del teatrino dove si facevano gli spogliarelli erano di una fondazione il cui presidente era l’arcivescovo di Catania con dei frati nel consiglio di amministrazione. Divenne un piccolo articolo nel dorso della cronaca locale, nascosto tra l’oroscopo e il meteo, ma venne ripreso dagli altri media e Striscia la notizia mandò il Gabibbo a cercare i frati nel teatrino».

Ma come selezionare le storie su cui concentrarsi? «L’empatia e l’immedesimazione o nella vittima o nel carnefice sono importanti. L’altro elemento di rilievo è il dubbio».

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