Il volo (e lo schianto) di Icaro: 20 anni fa il Treviso in Serie A
Il 28 agosto 2005 il Treviso debuttava in Serie A contro l’Inter. Dal sogno di vivere il grande calcio delle stelle fino all’abisso del fallimento

Icaro aveva ali di piume e cera. Ali enormi, per carità, frutto di grandissimo ingegno. Suo padre, Dedalo, geniale architetto, gliele costruì perché era arrivata l’ora di fuggire da Creta, dov'erano tenuti prigionieri dal labirinto creato dallo stesso sorprendente inventore.
Erano troppo speciali per andarsene. Eppure lo fecero. Ma genio e sregolatezza non sempre travolgono miti e passioni: Icaro volò troppo in alto, si fece trasportare da un'ambizione irrefrenabile. Verso il sole. Che sciolse la cera delle sue ali, e lo fece precipitare nell'abisso. Tracotanza, questo è il termine che lo definisce.

Vent'anni fa cominciava il volo di Icaro, per come l'abbiamo conosciuto noi. Un essere mutaforme, diventato una squadra di calcio con la maglia bianca e celeste. Una squadra "piccola e gentile, che voleva crescere e iniziò a salire", come le parole che risuonano ascoltando il suo inno. Il Treviso. Che si ritrovò a costruire in fretta e furia il suo paio di ali di cera e piume a metà agosto del 2005. Nove mesi prima era ultimo in classifica in Serie B. Esonerato D'Astoli, il demiurgo Bepi Pillon scopri la coppia gioiello Barreto-Reginaldo, portò un calcio che si appoggiava su un’ala spumeggiante (D’Agostino), e oltre novemila spettatori al Tenni, in visibilio verso il sole.
Quel Treviso che volava verso la Serie A fu eliminato ai playoff dal Perugia, ma poi – causa guai di altri – ripescato, anzi paracadutato, in Serie A. La stella calcistica più splendente di tutti.
Quella data - 28 agosto 2005 – si è conquistata un posto speciale, radicata in fondo alla memoria e in un angolino caldo del cuore. La prima trasferta in Serie A. Milano, stadio Giuseppe Mezza di San Siro. Inter-Treviso. Incredibile. Un fiume di pullman partiti dalla Marca, carichi di entusiasmo, birre (eh beh…) e cori. Una partita nella partita. E quante auto, di chi aveva convocato morose, amici, parenti. “Vieni anche tu, quando ricapita?”. Una città che si era riscoperta innamorata del pallone, nonostante gli scudetti e le coppe europee di volley e basket e la radicata passione per quella stranissima palla ovale.

Entrando a San Siro – davvero il tempio del calcio italiano – si capì che era tutto vero. Prendere posto – in piedi, of course- in “curva”, srotolare striscioni che solo poco tempo prima avevano visto la C, i più fortunati in tribuna a stropicciarsi gli occhi con le dita. Tutto vero. Commoventi, di fatto, i quasi quattromila trevigiani che ingolfavano lo spicchio del Meazza riservato agli ospiti. Tifo all’inglese, quello vero, con gli striscioni territoriali, a rappresentare l’orgoglio anche dei paesi. Istrana, Portobuffolè, Fanzolo, Quinto, Castello di Godego, Preganziol. E quello storico “Mai stati in A” da arrotolare e portare in un museo. Era diventato il passato. Meglio “In A con onore”.
Eh, c’era tutto l’orgoglio della gente di Marca, che aveva sofferto per anni nelle categorie inferiori, prima che Bepi Pillon – sempre quel demiurgo – vincesse tre campionati di fila per riportare il Treviso in Serie B. Ma, quel 28 agosto 2005, si era andati ben oltre, petto in fuori a cantare tutta l’adrenalina possibile per un evento – lo sapevano già tutti – irripetibile.

Poi, fermi tutti, pensare di tornare a casa con un risultato positivo era altro che da Icaro… Era l’Inter di Mancini con una sfilza di fuoriclasse, da Julio Cesar a Materazzi, da Javier Zanetti a Stankovic, fino a Figo, Veron, Cambiasso e Recoba. E l’imperatore Adriano, all’ultima vera grande prova della carriera (tripletta, tanto lo sapevate tutti…). E i nostri? Handanovic tra i pali (scoppierà a piangere a fine match, dopo l’erroraccio nella partita seguente con il Livorno e il rosso a Roma contro la Lazio non vedrà più il campo), Ciccio Galeoto – l’Eurostar della Marca – a destra, Lorenzi e Dellafiore centrali difensivi (che compito ingrato), Dossena a sinistra (giocherà anche nel Liverpool). In mezzo capitan Fabio Gallo, con i gemelli Emanuele e Antonio Filippini (oggi sono tutti e tre allenatori). Davanti Pinga – colui che due settimane dopo realizzerà il primo gol del Treviso in Serie A - e il brasiliano home made Reginaldo dietro la bandiera Gigi Beghetto. Dino Fava, pezzo pregiato del mercato, in panchina.

Come andò il match è cosa nota. Perdere 3-0 e tornarsene a casa contenti? Sì, è possibile. Era la prima di 38 partite, la grande speranza era la salvezza ma presto fu chiaro che era meglio godersi il viaggio che aspettare di arrivare a destinazione. Tra stadio non a norma (e l’esilio patavino), la legge ad squadram per tornare al Tenni, i litigi Gentilini-Galliani, il primo punto con il Chievo alla sesta e la prima vittoria a Reggio Calabria all’ottava (Beghetto e Parravicini), il primo hurrà al Tenni contro il Lecce con un Pinga scatenato. Ma poi tre allenatori (Rossi, Cavasin e poi Bortoluzzi), con i cordoni della borsa allargati a gennaio (Borriello, Sereni, Guigou, Maggio), e l’impressione che se ci fosse stata la Var magari… Le ultime gioie? Aver bloccato sullo 0-0 la Juve capolista al Tenni e il commiato con il 2-1 all’Udinese. Tre successi, uno per tecnico. Il ripescaggio per calciopoli? Per carità, già dato.

Icaro si avvicinò troppo al sole. Osò troppo, sfidò i propri limiti e perse. L’ambizione sfrenata del Treviso era un po’ figlia del caso, quel ripescaggio piovuto dal cielo, e un po’ al pazzo tentativo di provarci davvero. La tragedia sportiva diventò una triste realtà con il fallimento del 2009 e l’esclusione del 2013. Una storia calcistica rasa a zero, finita nella polvere.
Pagata cara- carissima – quella tracotanza che lo portò nell’abisso, vent’anni dopo quell’assurdo esordio in Serie A il Treviso riprova a tornare nel calcio che conta. Sognando – perché no – di poter tornare, un giorno, a riveder le stelle, costruendo ali per volare davvero.
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