Il ritiro di Sinner, il cambiamento climatico e le cose che il tennis deve cambiare

Cambiare calendario. Cambiare orari. Cambiare formule. Cambiare mentalità. Cambiare regole. Cambiare prospettiva, in definitiva. Qualche suggestione in proposito

Fabrizio BrancoliFabrizio Brancoli

Quando gioca Jannik Sinner (e specialmente quando gioca contro Carlos Alcaraz) l’Italia si ferma e discute. Con le dinamiche nostre, peculiari, tendenzialmente insopportabili. Se vince si innescano il trionfalismo e la deificazione, se perde riemergono i negativi, gli antagonisti. Stavolta non ha vinto e probabilmente neppure ha perso, stando alle parole autorevoli del suo avversario che gli si è avvicinato per dirgli sincero, come tra bambini che si sfidano correndo al parco: questa non vale, Jannik, questa non la conteggeremo.

Sinner è un faro e quindi siamo molto concentrati su che cosa gli sia accaduto. Intossicazione, disturbo alimentare, malore da caldo sono le prime opzioni. Magari un mix tra tutto questo. Ci focalizziamo sul nostro campione, del quale ci interessa ogni azione e ogni parola. Ma siamo proprio sicuri che questa storia riguardi lui e solo lui?

Tra singolare e doppio, tabellone principale e qualificazioni, maschile e femminile, nel torneo di Cincinnati si sono registrati una dozzina di ritiri per malori o malesseri legati, prevalentemente, alle temperature insostenibili. Più alcuni non-ritiri, che però sono quasi-ritiri. Sascha Zverev in semifinale con lo stesso Alcaraz non ha giocato gli ultimi punti, stremato, svuotato, quasi in stato confusionale. Questa dozzina, forse quindicina di atleti perfettamente allenati non sono Sinner: sono altre persone, un’élite mondiale. Allora forse questa storia non riguarda solo Sinner. Riguarda molti, forse tutti. Riguarda lo sport e i limiti che deve porsi per non diventare pericoloso; riguarda il business che invece quei limiti non li vuole. Riguarda i diritti tv e i principi, la salute e l’etica. Ora che il problema accade al numero uno del mondo, forse è arrivato il momento per intervenire, valutando finalmente l’aggressività del nuovo clima planetario. E cambiare. Ma cambiare cosa?

Cambiare calendario. Per esempio esplorare altri periodi dell’anno per tornei come Cincinnati e simili. Il calendario è saturo? Allora si abbia il coraggio di ridurre i tornei. Che si giochino tutti questi Masters 1000 non l’ha ordinato il medico. Selezionare gli eventi e aumentare il riposo.

Cambiare orari. Intensificare le partite notturne. Fino a pochi anni fa l’ordine di gioco a Cincinnati si apriva alle sette di sera; poi guarda caso siamo precipitati a una finale alle 15, sotto il sole zenitale dell’Ohio. Perché? Per accontentare la diretta tv in prima serata in Europa. Il dio denaro, di nuovo, e lo sport che si genuflette. Proviamo a cacciare qualche mercante dal tempio. Che poi, se il risultato è un torneo dove la semifinale si conclude per ko tecnico e la finale si gioca per dieci minuti, anche gli sponsor non gradiscono.

Cambiare formule. I masters 1000 con novantasei giocatori sono devastanti; si accorcino le entry list, si creino eventi paralleli e alternativi con montepremi ragionevoli.

Cambiare mentalità. Non possiamo più pretendere uno sport che si gioca 10 mesi e mezzo l’anno (più venti giorni di preparazione, per complessive tre settimane scarse di riposo). “Eh ma sono professionisti, guadagnano tanto”. E chi se ne frega: ci sono cose più importanti.

Cambiare regole. Accettare penali che tutelino lo spettatore in caso di annullamento del match per ragioni di questo genere. Idem per gli investimenti in spot e in diritti tv. Si guadagnerà di meno? Sì. Pazienza.
Cambiare prospettiva. Questo articolo è incardinato sulla circostanza degli undici ritiri dagli atleti nello stesso torneo; ma qualcuno ha pensato anche al pubblico? Quanti malori per il caldo si sono registrati a Cincinnati? Decine e decine. Non possiamo tollerare che il tennis diventi uno sport pericoloso da guardare dal vivo.

Cambiare, quindi. Diventare consapevoli, una volta per tutte, che stiamo parlando di una questione di salute. Lo ripeto: di salute. Non può esserci una priorità diversa. Altrimenti anche questo giocattolo andrà in frantumi.

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