Alcaraz e le linee dell’orgoglio

Agli Internazionali d’Italia gioca la partita perfetta, incantando per velocità e prepotenza. Venga presto il Roland Garros e un’altra finale all’ultimo sangue perché lui e Sinner non hanno avversari

Dario Cresto-DinaDario Cresto-Dina

Se avessimo potuto restare per sempre dentro una partita infinita, guardando l’altro giorno con affetto e commozione gli occhi pieni di felicità di una vita inattesa, quella di Jasmine Paolini, e ieri la voglia di un campionissimo predestinato di riscattare subito, nello spazio breve e incendiato dal tifo del torneo di casa, una condanna ritenuta ingiusta e tre mesi di buio, saremmo ancora incollati ai seggiolini del Foro ad aspettare il match point di Sinner, a costo di piantarci le tende sul campo centrale, sicuri che prima o poi ce la farà. Non sarà così.

Se potessimo aggrapparci ai numeri e se il tennis fosse uno sport di squadra e non una fatica e un’ambizione individuale portate spesso all’estremo delle forze fisiche dovremmo essere orgogliosi di un’Italia che in questo momento sta sul tetto del mondo, con dodici atleti, nove uomini e tre donne, tra i primi cento delle classifiche, due coppe Davis maschili e una femminile in bacheca, le medaglie olimpiche di Parigi e tre prove dello Slam. Un bilancio che rende “immortale” nel suo ruolo il presidente della Federazione Angelo Binaghi, uno che non brilla per simpatia, ma è senza dubbio toccato dalla grazia e dalla fortuna.

La partita perfetta

Ma all’ultimo atto succede quello che Vagnozzi e Cahill avevano messo in conto e che anche lo stesso Sinner temeva considerato il lungo periodo trascorso lontano dall’agonismo. Succede che arriva Carlitos Alcaraz, con la sua classe immensa e il suo pince-nez da setto nasale deviato, e mette in scena la partita perfetta, si salva due volte nel primo set, meraviglioso sul piano tecnico e giocato alla pari, ci illude durante il tiebreak, poi se lo prende con l’autorità dello specialista e a forza di smorzate, cambi di gioco e dritti in contropiede rischia di rifilare nella seconda partita un sei zero al numero uno del mondo, ricordandosi di avere appena dichiarato che lui e Sinner sono rivali e non amici. Tanto per chiarire la mancata solidarietà sul caso doping.

Alcaraz incanta per velocità e prepotenza, tutto gli riesce facile. Il tennis lo ha inventato lui. Ace, lungolinea di rovescio, pallonetti, una variazione in ogni scambio. Sinner è stanco di gambe e di testa, quando affossa una volée a un centimetro dalla rete, tutto ciò che ci bastava fino a poco fa non ci consola più.

Si smaglia nella memoria persino il sorriso di Jasmine Paolini, campionessa ben più grande dei suoi 158 centimetri, tenace e intelligente con geni toscani, polacchi e africani, esplosa a quasi 30 anni perché non è mai troppo tardi per sconfiggere i pregiudizi. Lei che in campo si diverte, non ha più paura e vorrebbe non smettere mai, tanto non esiste un piano b. Ma solo tennis, tennis e ancora tennis. Lasciatemi qui a giocare ancora un po’, pregava da bambina i genitori che andavano a prenderla al circolo e dovevano strapparla di forza dalla terra rossa. Lei e Sara Errani, 38 anni, le amiche geniali, un’altra volta in trionfo nel doppio.

Venga presto il Roland Garros

Ha detto qualche mese fa Alcaraz alle telecamere di Netflix per la miniserie a lui dedicata: “Ogni tanto bisognerebbe dimenticarsi di essere tennisti”. Per non impazzire, bestemmiare, spaccare racchette, finire in depressione. Non adesso Carlos, non adesso. Venga presto il Roland Garros e un’altra finale all’ultimo sangue dei cinque set perché questi due ragazzi non hanno avversari, sono di un altro pianeta come ha ammesso il norvegese Ruud dopo essere stato strapazzato come un cencio da Sinner nei quarti del torneo romano. Da spettatori godremo a lungo di questa rivalità. Il perfezionista italiano, il folle spagnolo appena usciti dalla prima giovinezza e già ricchi di passato.

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