Romeo Menti, il fuoriclasse di Vicenza autore dell’ultimo gol del Grande Torino
Fratello di Mario e Umberto, esordì nel Vicenza e giocò nella Fiorentina. Segnò l’ultima rete il giorno prima dello schianto di Superga. Nella città berica e a Castellamare di Stabia gli sono stati dedicati gli stadi


Quando si dice un affare di famiglia, oltretutto a chilometro zero, e con un autentico gioiello in casa: per i vicentini Menti, il pallone è stato davvero fatto in casa. Siamo nel primo scorcio del Novecento, e loro abitano in città, in via Legione Antonini, dove tra l’altro gestiscono un’osteria.
Le bocche da sfamare sono tante: sette figli, di cui cinque maschi.
Eupalla, la divinità del football nata dal genio di Gianni Brera, vuole che nel 1919, subito dopo la Grande Guerra, Giacomo Sartea, proprietario all’epoca di una rinomata birreria, faccia dono alla comunità di un terreno vicino, il San Felice: detto anche “el campo de carbonéa” perché ricoperto col materiale di scarto di una fonderia.
Diventerà più tardi lo stadio ufficiale dei biancorossi; ma intanto, è su quella rudimentale area che i cinque fratelli maschi dei Menti si cimentano nel tirar calci al pallone: per loro, in fondo, basta attraversare la strada. Un paio, Mario e Umberto, riusciranno pure a farsi un po’ di fama, arrivando a vestire la maglia del Vicenza; Umberto, in particolare, approderà niente meno che alla Juventus, dove disputerà un paio di campionati, senza infamia e senza lode.
Il debutto a 16 anni
Il vero top di gamma è l’ultimo della nidiata, Romeo: che l’8 settembre 1935, a 16 anni compiuti appena da qualche giorno, esordisce con la maglia del Vicenza nella prima di due amichevoli organizzate per inaugurare l’ex “campo de carbonéa” rimesso a nuovo, e significativamente intitolato (vista l’epoca) Stadio del Littorio; avversari sono gli ungheresi del Soroksar.

Per il giovanissimo Menti junior sarà l’inizio di un brillante percorso: con la maglia biancorossa disputerà tre stagioni, nel ruolo di ala destra, collezionando 79 presenze e mettendo a segno 34 gol. È una performance più che sufficiente per imporlo alla ribalta nazionale: nel 1938 si presentano a Vicenza i dirigenti della Fiorentina, che l’acquistano per 68 mila lire; cifra all’epoca di tutto rispetto. In Toscana conosce Giovanna Baldasseroni, che sposerà in piena guerra, nel 1942; con i viola conquisterà una Coppa Italia; e stringerà con i fiorentini un legame talmente solido, da venire sepolto dopo la tragica morte nel cimitero monumentale della Misericordia dell’Antella, alle porte della città.
Dopo la Fiorentina, il Gran Torino
Ma intanto, anche la Toscana gli è diventata troppo stretta. Dopo tre stagioni, viene reclutato niente meno che dal Grande Torino, lo squadrone degli “invincibili”; con cui mette in fila 81 presenze con 31 reti. Ed è proprio con la maglia granata che conclude tragicamente il suo eccezionale percorso, nello schianto del 4 maggio 1949 contro la collina di Superga, al rientro da un’amichevole a Lisbona: dove il Toro ha perso 4 a 3; il destino vuole che l’ultimo gol di quell’immortale squadra venga messo a segno proprio da Menti su rigore. Prima, ha fatto a tempo a mettersi in luce anche nella nazionale azzurra, in cui a partire dal 1947 disputa sette gare con cinque gol: tre dei quali proprio all’esordio, contro la Svizzera. Prima ancora, è stato protagonista di un singolare intermezzo.
II passaggio a Castellamare di Stabia
Nel 1945, ultimo anno di guerra, il campionato italiano è stato suddiviso in tanti tornei regionali; in quello campano milita tra gli altri la squadra di Castellammare di Stabia (l’odierna Juve Stabia, serie B).
È un evento decisamente caldo, a seguire le cronache dell’epoca: da cui si evince che in un rovente Napoli-Salernitana a un certo punto si accende una rissa tra opposte tifoserie, coinvolgendo pure alcuni giocatori; al punto da indurre l’arbitro, Demetrio Stampacchia, a stendersi a terra fingendosi morto.
Sta di fatto che il titolo verrà conquistato proprio dallo Stabia, vittorioso in finale contro la Salernitana: grazie anche al fatto di poter vantare nelle proprie fila niente meno che Romeo Menti, ingaggiato per la circostanza; il quale si mette in luce al punto da segnare ben 13 reti, e guadagnarsi l’etichetta di “cannone silenzioso”, mettendo assieme la sua potenza di tiro e il carattere taciturno, insolito per il Sud. Il suo ricordo rimane anche oggi, visto che lo Stabia gli ha intitolato lo stadio.

Il campo del Vicenza
Ma l’abbinamento più famoso è quello con il campo del Vicenza, sulla riva sinistra del Bacchiglione, a due passi dal centro cittadino. È l’erede dell’impianto inaugurato nel 1935, come sopra ricordato, e battezzato “Littorio”. Danneggiato pochi anni dopo dai bombardamenti della guerra, viene rimesso in sesto; e nel 1949, all’indomani della tragedia di Superga, il consiglio comunale di Vicenza decide di intitolarlo a Romeo Menti; nome che porta tuttora, avendo nel frattempo conosciuto varie ristrutturazioni.
È il dovuto e doveroso omaggio a quel calciatore che proprio lì, su quel terreno, aveva mosso i suoi primi passi in quel 1935. Un luogo mitico, e al quale i vicentini sono sentimentalmente legati: come magistralmente ricordano due giornalisti berici, Antonio Di Lorenzo e Andrea Mason, in un testo significativamente intitolato, con suggestiva immagine, “Menti del Cuore”. —
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