Gianni Brera, gli esordi misteriosi di un fuoriclasse
Un periodico pubblicò i primi articoli del grande giornalista, senza firma: la pista più solida porta alla Biblioteca Braidense. E parla di boxe e rigori

Contropiede, centrocampista, goleador, pretattica, rifinitura e molte altre parole, ormai nostre, ormai familiari, ce le ha regalate Gianni Brera.
A lunga distanza dalla sua morte, il 19 dicembre 1992, questo eterno esploratore della narrazione rimane il più grande giornalista sportivo italiano; e sempre lo sarà. La sua voce continua a risuonare. Proviamo a risalire la corrente, andando alle origini di quella voce. Quale fu il suo primo articolo?
La risposta non è certa. Giovanni Luigi Brera, detto Gianni, non ha mai lasciato memoria diretta del suo primo articolo e molti dei suoi pezzi iniziali non portano firma. Ci muoviamo quindi per piste plausibili, ipotesi corroborate da indizi concreti.
La più solida conduce al settimanale milanese Lo Schermo Sportivo, tra il 1935 e il 1936, quando Brera aveva sedici o diciassette anni; era il primo giornale per il quale scrisse. Qui si muoveva tra due mondi: il calcio giovanile nella categoria Propaganda, dove era anche giocatore in campo, e il pugilato, sua grande passione. Gli articoli di pugilato comparivano firmati “Gibì”, mentre quelli di calcio portavano le sigle L. o Lon.

Non saranno prove definitive; in compenso si tratta di tracce forti. Per seguirle abbiamo varcato virtualmente le porte della Biblioteca Nazionale Braidense, tra scaffali e fascicoli, dentro la Pinacoteca di Brera, una coincidenza di nome, casuale e quasi poetica. Con l’aiuto di un bibliotecario paziente e competente, abbiamo consultato i numeri, scandagliato le date e selezionato i pezzi significativi.
Ogni fascicolo raccontava un mondo piccolo e rumoroso, ma già denso di scrittura viva e osservazione acuta. Scorrendo i pezzi sul calcio e sulla boxe, in quegli anni, abbiamo provato a cercare articoli che mostrassero il gusto per la sintassi elaborata, il lessico ricco, l’ironia sottile e la capacità di cogliere il dettaglio umano. Insomma, l’embrione dello stile Brera. Così emerge già un possibile Brera giovane, attento alla psicologia dei campioni come alla farsa dei dilettanti. C’è questo passaggio:
«Il Milan, intenzionato di curare i giovanissimi, ha bandito per giovedì prossimo alle ore 15 una leva calcistica rossonera (…). S’intende che la adunata è per i ragazzi di età inferiore degli anni diciotto; perché non si fraintenda, e giovedì non appaia sul terreno di S. Siro, qualcuno con tanto di baffi e di capelli grigi». (17 settembre 1935, numero 35).
Subito l’ironia, fine e tagliente. E sul pubblico che assiste a una partita di provincia, lo sguardo sa trasformare caos e violenza in racconto quasi teatrale:
«Il pubblico si compiaceva dell’ecchimosi… Una squadra di muratori con quei sassi… poteva costruirci una capanna… I milanesi per poter andarsene da Cinisello, dovettero mandare un messo a Sesto, prelevare dei carabinieri e farsi scortare». (24 novembre 1936, numero 40).

Nei pezzi sul calcio emerge anche il gusto per la battuta e la moralità leggera:
«È rimasta ancora in sospeso l’assegnazione della Coppa Disciplina… Noi reputiamo che se tutti sono peccatori ci sarà sempre chi ha meno peccato…». (17 settembre 1935, numero 35).
Nel pugilato, Brera (sempre ipotizzando che Gibì sia lui) coglie il lato umano dei campioni come Max Baer e il loro rapporto con la vita, con sensibilità già rara:
«Ebbene, anche Max, come noi, ha capito che negli occhi di ogni donna, come in quelli dei bambini, v’è sempre un lembo di cielo». E poi qui: «Difendiamo, forse, Baer? Sì! E gli perdoniamo tutto. Gli perdoniamo la sua vittoria su Carnera, la sua presunzione, il suo contegno: la sua vita; insomma, ricca di impeti». (3 marzo 1936, numero 9).

Osserva ciò che sfugge agli altri, trasformando dettagli minimi in cronaca viva:
«V’era un signore in giacca nera sul campo di Via Lomellina domenica, che a prima vista, a vederlo sì curvo, con una matita e un taccuino in mano, dava l’impressione di essere uno scrivano. O un impiegato al servizio di qualche società. Poi, visto che ogni tanto si rialzava, e traeva suoni da un ordigno che gli pendeva in bocca, ci siamo accorti che esso era l’arbitro della partita Ferrovieri-Aprilia. La strana postura di quest’arbitro era originata dal bisogno di dover annotare i punti segnati dai Ferrovieri». (17 novembre 1936, numero 9). È come la scena di un film.
Ancora la boxe: «...l’epico urto tra Jack Dempsey e Giorgio Carpentier, finito con la vittoria schiacciante e ineluttabile del massacratore di Manassa». (10 marzo 1936, numero 10)
Il giovane Brera possedeva già la capacità di trovare ritmo e sarcasmo in qualsiasi situazione. Nella gara Viola-Sioli, il misterioso autore-ragazzo, coperto da sigle e pseudonimi annota la scelta insolita di un rigore sbagliato di proposito.
Anche nel pugilato, per Gibì, l’attenzione al dettaglio tecnico e alla morale sportiva si combina con la capacità di raccontare. Così un “pugilatore” britannico diviene «il tipico rappresentante di quella scherma ortodossa coniata nei ginnasti d’Oltre Manica e gabellata come l’espressione più genuina della nobile arte di sapersi difendere». (10 marzo 1936, numero 10)
Ecco sbocciare il lessico gentile, arguto e creativo del giovane Brera. Ci sono frasi ed espressioni che colpiscono per eleganza e delicatezza stilistica. “Il suddetto giovinotto”, riferito a un attaccante locale, con tono quasi giudiziario. “La colpa fu dei pali, che respinsero sei palloni”, un incedere da tragedia greca; “Sino a quindici è arrivata la somma delle segnature… però… non denota certo buon gusto” con un’elegante misura narrativa. E quel “lembo di cielo” che starebbe negli occhi di ogni donna, è un’espressione poetica.
Queste sfumature lessicali restituiscono già il tratto distintivo di Brera: la capacità di essere preciso e forbito senza perdere leggerezza.
Seguire questa traccia significa entrare nel laboratorio dello scrittore, comprendere come la sua voce si sia costruita e formata: ogni articolo è un passo, un tassello, un piccolo miracolo di precocità.
L’indagine non rivela certezze assolute, ma consegna un quadro sensato, un percorso affascinante tra carta ingiallita e firme siglate. Cercare il primo Brera è come rintracciare una voce appena nata, sondare le sue origini e camminare accanto a un ragazzo destinato a diventare maestro, mentre già scriveva con la promessa di una grandezza.
E l’ultimo articolo della sua vita? Arriva il 18 dicembre del 1992, lui sarebbe morto il giorno dopo in un incidente stradale, a Codogno. È la risposta a una lettera pubblicata su Repubblica. Il signor Aurelio Pupi, di Cosenza, è critico con Giovanni Trapattoni e con il suo presunto catenaccio. La replica è veemente. Inizia così: “Mai sentito nulla di più ridicolmente presuntuoso”.
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