L’esempio di Roberta Vinci per il tennis azzurro: «Ci vuole leggerezza»

Tra le più grandi tenniste azzurre, dopo il ritiro segue la crescita delle giocatrici future. Dieci anni fa, la vittoria su Serena Williams allo Us Open: «La più bella di tutte»

Lorenzo Gatto
Roberta Vinci ha vinto 35 titoli Wta tra singolo e doppio (foto LaPresse/Spada)
Roberta Vinci ha vinto 35 titoli Wta tra singolo e doppio (foto LaPresse/Spada)

Ha scritto la storia del tennis femminile conquistando il grande pubblico non solo per i suoi successi ma anche per la sua unicità in campo. Considerata una delle migliori giocatrici di sempre, Roberta Vinci è un nome che risuona nel cuore di ogni appassionato, una delle tenniste più complete e amate della sua generazione.

Con un gioco fatto di tocco, variazioni e un letale rovescio in slice, Vinci ha scalato le classifiche mondiali raggiungendo traguardi straordinari sia in singolare che in doppio dove, assieme a Sara Errani, ha saputo conquistare i quattro tornei del grande slam, impresa riuscita a pochissime atlete nella storia.

È stata numero 1 al mondo in doppio e numero 7 in singolare, in carriera ha vinto 10 titoli Wta in singolare, 35 considerando il doppio, una serie di successi che le hanno permesso di aggiungere il suo nome tra le leggende dello sport italiano.

Nel maggio del 2018, agli Internazionali di Roma, si è conclusa una carriera fantastica durata 21 anni, una scelta sofferta ma ben ponderata che le ha aperto la strada a una seconda vita. Oltre che apprezzata telecronista dietro i microfoni di Eurosport, Vinci è ormai da anni anche nel settore tecnico della Fitp.

Roberta, lei è considerata una leggenda del tennis femminile. Cosa significa questo riconoscimento?

«È un motivo d’orgoglio, c’è la consapevolezza di aver lasciato qualcosa di importante alle future generazioni. Un segno, un esempio che spero possa fungere da traino per le tenniste di oggi. Un mio consiglio per le ragazze che vogliono intraprendere questa carriera? Provate a divertirvi. I sacrifici vanno fatti, come in qualsiasi lavoro, ma nello sport come nella vita è fondamentale un pizzico di leggerezza. Serve per non abbattersi nei momenti di difficoltà e non esaltarsi troppo quando le cose girano al meglio. Ed è fondamentale condividere il percorso con uno staff che ti segue: in questo sport, da soli, non si va da nessuna parte».

Il picco della sua carriera nel 2015, anno incredibile culminato con la finale dello Us Open e una vittoria in semifinale contro Serena Williams che ha fatto storia. A dieci anni di distanza e nei giorni in cui si sta giocando lo slam negli States, ricordi ancora vivi?

«Il tempo passa ma non cancella i ricordi. Quella vittoria contro Serena resta, senza ombra di dubbio, la più bella e importante della mia carriera. Provai un misto di orgoglio, felicità e incredulità per quello che ancora oggi considero una sorta di premio per quello che è stato il mio percorso».

Assieme a Errani è stata una delle più grandi doppiste di sempre. Qual è stato il segreto della sua intesa con Sara?

«Una grande complicità, che ci è servita per amalgamare due caratteri diversi. Ci siamo conosciute giocando, con il tempo è cresciuta l’intesa in campo e fuori e siamo state brave a trovare i meccanismi che ci hanno rese una coppia vincente».

Nel doppio ha vinto tutti e quattro gli Slam, sempre in coppia con Sara Errani (AP/Bernat Armangue)
Nel doppio ha vinto tutti e quattro gli Slam, sempre in coppia con Sara Errani (AP/Bernat Armangue)

Il momento del ritiro per un atleta è un passo enorme. Quando ha capito che era arrivato il momento di fermarsi cosa ha provato? Tristezza, sollievo, un misto di entrambi?

«Sicuramente un misto di tutto questo, anche un pizzico di paura per quello che mi avrebbe potuto riservare il futuro. Cambiare vita e abitudini consolidate non è stato facile, sentivo però che era arrivato il momento di dire basta. Fu una scelta ponderata, presa con coscienza ascoltando un fisico che dopo tanti anni di stress non era più in grado di performare al top. Ancora oggi, a sette anni di distanza, non ho rimpianti».

Oggi è entrata nel settore tecnico della Fitp e si occupa di sviluppare i progetti federali collaborando e dando suggerimenti per la crescita delle giocatrici. Ma che allenatrice sarebbe Roberta Vinci?

«Un coach sicuramente molto esigente ma, essendo stata prima di tutto una giocatrice e conoscendo bene le dinamiche che si possono creare sul campo, credo altrettanto comprensiva. Un’allenatrice che metterebbe al primo posto il dialogo, per me fondamentale in ogni aspetto della vita».

È anche commentatrice su Eurosport: com’è Roberta Vinci dietro un microfono?

«Estremamente prudente, dare giudizi non mi piace. Cerco di essere sempre obiettiva ma con il rispetto di chi lo sport lo ha giocato da professionista e sa perfettamente che sul campo si può sbagliare».

Vede una sua erede nel futuro del tennis femminile italiano? 

«Oggi la possibilità di poter contare su una top ten come Paolini è importante. Jasmine rappresenta un punto di riferimento per le sue compagne ma la realtà è che oltre a lei possiamo contare su un bel gruppo di giocatrici. Non solo Cocciaretto e Bronzetti, alle loro spalle ci sono anche la Stefanini e la Grant che è ancora giovane ma ha le potenzialità per diventare una buona giocatrice».

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