Amori, tv, film: oggi Nino Benvenuti sarebbe stato un influencer

Riempiva i palasport e i rotocalchi: era il contagio mediatico degli anni Sessanta, il primo atleta dello sport italiano diventato personaggio

Leo Bassi
Nino Benvenuti
Nino Benvenuti

C’è da chiedersi cosa sarebbe stata la vita, e la vicenda umana e sportiva di Nino Benvenuti, al tempo dei social. Benvenuti è stato infatti il primo atleta dello sport italiano divenuto personaggio. Oltre le barriere di quel recinto, affascinante ma assai limitante, in cui lo sportivo veniva al tempo incasellato.

Era prima di tutto un pugile, oltre che un bellissimo uomo, in un’epoca in cui la boxe riempiva i palazzi dello sport. Nino li ha sempre riempiti tutti, in Italia e fuori. A Roma per il match con Rodriguez, organizzato da Rino Tommasi e vinto per ko mentre era in svantaggio, a bordo ring c’erano attori, soubrette, non solo gli immancabili politici. Luciano Salce, Giuliano Gemma, una strepitosa Sylva Koscina, anche Ugo Tognazzi poi, nel disgraziato primo match con Monzon.

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Nino Benvenuti

Belle donne, bella gente, non solo il “generone”. La Roma che contava, non solo quella mondana. Volevi essere “in”? Ai match di Benvenuti dovevi esserci. Non era solo per farsi vedere, è che i match di Nino erano sempre un evento, una vicenda. Nino faceva notizia, e come no se la faceva, dentro e fuori ring. Lo compresero anche in America in cui approdarono, prima al vecchio Madison Square Garden e poi al Giant Stadium le mitiche sfide con Emile Griffith che hanno fatto la storia non solo di Benvenuti ma della boxe italiana.

Ventimila italoamericani sugli spalti, bandiere italiane ovunque e cartelli con la scritta “Forza Neeno”, che in inglese si pronuncia Nino, tanto per non confondersi. Radiocronista per l’Italia Paolo Valenti, quello di 90° minuto, e per gli Usa Art Cosell, la voce più autorevole della boxe, il cronista che avrebbe poi seguito tutta la carriera di Mohammad Ali. Benvenuti e Griffith: dopo la rivalità sarebbero diventati amici, i due, a fine carriera, e quando il suo avversario storico ammise di trovarsi malato e in difficoltà economica, Nino volò subito in America. «Non posso lasciarlo solo”, disse, e organizzò (senza farne pubblicità) una raccolta fondi.

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Oggi fa notizia quando Paola Egonu, Matteo Berrettini o Giammarco Tamberi vanno a Sanremo a fare piccole comparsate. Modeste uscite dal recinto. Nino Benvenuti, dopo il primo match con Griffith, fu ospite di Mina e Lelio Luttazzi (ce n’era uno a puntata) a Studio Uno, varietà del sabato, 20 milioni di audience. Che fatta la somma con l’audience dei suoi incontri, tutti trasmessi sulla Rai anch’essi al sabato sera, hanno costruito una popolarità impagabile e numericamente oggi irraggiungibile.

Benvenuti è stato il Tomba, il Valentino Rossi degli anni ’60. Faccia da pugni ma anche da rotocalchi, che infatti impazzirono in occasione del suo flirt extraconiugale con Nadia Bertorello, modella bolognese, Miss Emilia, che gli era stata presentata dallo storico manager Amaduzzi e che sarebbe poi diventata la seconda moglie di Nino.

Un anello della catena di una popolarità ormai acquisita un’incursione nel cinema (come Tomba) in coppia con l’amico Giuliano Gemma, genere far west all’italiana. Qualche sparatoria, parecchi pugni (e vorrei vedere), non roba da Oscar ma abbastanza buono da fare di Nino Benvenuti quel personaggio che oggi chiameremmo testimonial, influencer, se con la parola si intende chi influenza e ispira le masse.

Trieste gli deve molto. Anche il palazzetto di Chiarbola, il primo in Italia con e tribune retrattili, o telescopiche, costruito con il sogno che un giorno ci avrebbe combattuto il grande Nino. Un’idea intitolarglielo, chissà.

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