Cimolai verso l’addio dopo 16 anni: «Tengo la testa alta. Finita un’era, ora inizia un’altra corsa»

Il 36enne pordenonese conferma il ritiro: «Stagione complicata, ho capito che era il momento. Orgoglioso di ciò che ho fatto: avrei voluto divertirmi di più, ma ho sempre dato tutto». Sul futuro: «Ciclismo e un progetto agricolo, le idee non mancano»

Francesco Tonizzo
Davide Cimolai
Davide Cimolai

Il 2025 che va terminando è l'anno degli addii al ciclismo professionistico di grandi nomi, che hanno ufficializzato il ritiro. Il profeta Elia Viviani, il “Rosso di Buja” Alessandro De Marchi hanno già appeso la bici al chiodo. A breve lo farà ufficialmente anche Davide Cimolai. A 36 anni, il pordenonese ha espresso l’intenzione di lasciare il World Tour, che lo ha visto protagonista per 16 anni. Più di tre lustri nei quali è stato esempio di professionalità, dedizione alla squadra e serietà, togliendosi anche qualche soddisfazione.

Davide, va a chiudersi un'era?

«Si, la decisione l’ho maturata da tempo. A dire la verità, ero partito in questo 2025 con l’idea di fare un grande anno, per poi chiudere nel 2026. Poi, però, per come è andata la stagione, mi sono reso conto che sarebbe stata l’ultima. Ho faticato molto fisicamente e mentalmente. Prima l’influenza, poi l’infezione al braccio prima del Giro d'Italia, poi il Covid preso al Giro di Polonia. Mi sono sempre trovato a inseguire la forma. Io non mi ritengo un fenomeno, però potevo prendermi le mie soddisfazioni anche quest'anno, stando bene. A metà stagione ero già stanco: ho assicurato il mio impegno alla squadra fino all'ultima corsa, in Cina».

Sedici anni nel World Tour non è cosa banale: la professionalità del "Cimo” è sempre stata al top.

«Soprattutto negli ultimi anni, mi ha premiato. Nel ciclismo, quando sei un vincente, viene tutto facile. Qualità come l’abilità di essere uomini squadra, di saper aiutare i compagni sono tutti elementi che mi hanno favorito».

Tornando indietro, ai tempi del Fontanafredda, avresti mai pensato di fare 16 anni a un livello così alto?

«Da ventenne, mi dicevo che avrei corso fino ai 35 anni. Nel tempo, la passione è diventata un lavoro che, mi ha dato prospettive. Poi, la vita cambia, arriva la famiglia, si inizia a vedere con occhi diversi tutte le cose, comprese l’attività sportiva, il fatto di stare spesso lontano da casa. Essere riuscito ad arrivare fino ai miei 36 anni, mi riempie d'orgoglio».

Quello attuale è un ciclismo che diverte ancora Davide Cimolai?

«Da spettatore, si: siamo in un’epoca di fenomeni, la più forte generazione di sempre. Per me, Tadej Pogačar è il migliore di tutti i tempi. Da atleta, invece, ultimamente veniva a mancare l’elemento per il quale ho iniziato a correre: il divertimento di correre, specie in gara».

Una gioia e un rammarico?

«Più di qualche soddisfazione me la sono tolta. A partire dall'Europeo vinto con Trentin. Avessi avuto, negli anni d’oro, l’esperienza e la voglia di soffrire che ho adesso, avrei fatto risultati migliori. Ma con i se e i ma non si va avanti».

E d’ora in poi?

«Ho la fortuna di avere già dei progetti da realizzare. Una parte di me vorrebbe rimanere nel mondo del ciclismo, perché sarebbe stupido non sfruttare l’esperienza maturata. Oltre a ciò, ho un progetto nell’ambito dell’agricoltura che mi stuzzica».

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