Il destino di un bomber, la biografia di Carnevale per non dimenticare il femminicidio della madre

In libreria dal 25 aprile, è stata scritta a quattro mani con Giuseppe Sansonna: l’idea è nata nel momento in cui l’attuale capo scouting dell’Udinese è entrato in contatto con l’associazione “Telefono donna”. L’ex attaccante bianconero, di Napoli e Roma ha vissuto da vicino un dramma familiare quando aveva solo 14 anni: la mamma venne uccisa a colpi d’ascia da suo padre

Massimo Meroi
Andrea Carnevale con la maglia dell’Udinese nel campionato ’93-’94 esulta dopo un gol al Venezia, a destra la copertina del libro
Andrea Carnevale con la maglia dell’Udinese nel campionato ’93-’94 esulta dopo un gol al Venezia, a destra la copertina del libro

Andrea Carnevale, perché ha deciso oggi di scrivere la sua biografia?

«Perché mi rendo conto che raccontare l’esperienza personale può aiutare le nuove generazioni. Nell’ultimo anno in Italia c’è stato un femminicidio ogni tre giorni, la situazione, invece che migliorare, peggiora».

“Il destino di un bomber” è la storia della sua vita. Da dove è partito?

«Da un orfano di 14 anni che ha perso sua madre uccisa dal marito. Trovai mia madre sul greto di un fiume in mezzo a una pozza di sangue. Ero andato in passato a denunciare ai carabinieri le violenze che mamma subiva, mi sentivo sempre dire che fino a quando non vedevano il sangue...».

Quanti eravate in famiglia?

«Sette figli. Tre femmine, un maschio, il sottoscritto, un’altra femminuccia e un altro bimbo. Un paio di loro hanno avuto conseguenze, non è stato semplice uscire da quella situazione. Mio padre si suicidò 5 anni dopo davanti ai miei occhi buttandosi da un balcone. Morì due giorni dopo. Fu una liberazione per tutti noi».

Questo dramma l’ha segnata per sempre...

«Sì, ma sono stato bravo a non piangermi addosso e a pensare a raggiungere i miei obiettivi. Lavoravo di giorno prima come fabbro e poi al mercato, guadagnavo 15 mila lire a settimana e alla sera andavo ad allenarmi. Ero un bambino, ma mi sentivo già adulto. Sapevo che dovevo sfruttare le mie qualità calcistiche per essere di sostentamento ai miei fratelli. Uno di loro, Germano, era un grande calciatore, vinse lo scudetto con la Primavera della Roma assieme a Righetti e Desideri, ma quel dramma non l’ha aiutato».

Le persone che più l’hanno aiutata nel mondo del calcio?

«Ne cito due. Luis Vinicio che ho avuto come allenatore prima all’Avellino e poi a Udine e Gianni Di Marzio con il quale ho lavorato a Catania».

Anche nella sua carriera di calciatore lei è caduto ma poi si è rialzato. Quel dramma vissuto in adolescenza l’ha aiutata in un certo senso?

«Credo proprio di sì. Certo, quando vieni accusato di traffico di stupefacenti a livello internazionale e devi aspettare 13 anni per ricevere un’assoluzione piena non è una passeggiata ma quello che ho vissuto da figlio non è paragonabile».

Quando ha capito che sarebbe diventato un calciatore di alto livello?

«All’Udinese quando mi sono ritrovato a cambiarmi in spogliatoio con Zico. Poi quando tre anni dopo sono andato a giocare a Napoli con il più grande della terra, Maradona, l’ho considerato più un punto di partenza che di arrivo».

Non esiste un compagno di squadra che non abbia amato Diego. Perché?

«Era il ragazzo più buono e generoso del mondo. Aveva una grande umiltà. Io e lui ci siamo raccontati tutta la nostra vita, Maradona era uno che sapeva prenderti per mano e aiutarti, lo ha fatto con tutti».

Se la ricorda l’ultima volta che l’ha visto?

«Nel 2018 al teatro San Carlo quando gli consegnarono le chiavi della città di Napoli. Stava benissimo, erano anni che non lo vedevo così».

Cosa pensa quando sente dire che chi gli era vicino non lo ha aiutato?

«Aiutare Maradona non era facile. Se gli dicevi “Diego, ma cosa stai facendo?”, lui ti mandava a quel paese. E ve lo dice uno che è tra coloro che lo hanno conosciuto meglio di tutti. Anche adesso che sta lassù lo penso spesso».

Il ricordo di Italia 90’ oggi è un ricordo più amaro o dolce?

«Amaro. Ero partito per vincere sia la Coppa del Mondo che il titolo di capocannoniere. Se avessi segnato alla prima con l’Austria... Invece entrò il mio amico Totò Schillaci che, piccolino, segnò di testa tra due giganti austriaci. Capii subito che quello non sarebbe stato il mio Mondiale».

Capitolo Udinese. Lei torna in Friuli da calciatore ed è il centravanti dell’ultima Udinese che vince il campionato di serie B.

«Sì. Mi feci male al ginocchio in una delle prime partite ma tornai in tempo per la volata finale. Qualche gol lo segnai: tripletta alla Lucchese, doppietta al Venezia».

Perchè non rimase? Per l’arrivo di Bierhoff?

«No, semplicemente non mi sentivo più all’altezza della serie A. Il Pescara mi rivoleva e andai là a chiudere la carriera».

Da dirigente a Udine arriva nel 2001 in piena tempesta giudiziaria con l’accusa di spaccio.

«Devo ringraziare Gianpaolo Pozzo che mi disse che dovevo assolutamente venire via da Roma e andare a lavorare a Udine. Un ruolo importante lo rivestì anche Pierpaolo Marino. Dopo 24 anni sono ancora qui. Devo tanto ai Pozzo».

Il giocatore consigliato a Gino Pozzo del quale va più orgoglioso?

«Handanovic».

Il rammarico più grande?

«Kvaratskhelia. Ma era extracomunitario e non avevamo spazio in rosa».

É vero che scartaste Modric perché troppo fragile fisicamente?

«Non mi risulta».

L’allenatore avuto da dirigente che le è rimasto più impresso?

«Spalletti e Guidolin, ma se devo fare un solo nome scelgo Francesco, persona fantastica».

Non ha mai avuto la tentazione di fare una nuova esperienza?

«Fino a oggi no. A Udine sto bene, ho moglie e figlia con me. Certo, adesso ho superato l’esame da ds, nessuno mi ha mai cercato, ma mi piacerebbe cimentarmi in questo ruolo».

E fuori dal calcio c’è ancora qualcosa che vuole fare da grande?

«Collaborare con “Telefono donne”, essere da megafono per eventuali pericoli. A mia figlia, che ha 22 anni, ricordo sempre che anche un sms ricattatorio è violenza».


  • Il libro in uscita il 25 aprile

Andrea Carnevale si racconta fino in fondo dopo una vita di silenzi. “Il destino di un bomber”, la biografia scritta a quattro mani con Giuseppe Sansonna, è nata nel momento in cui l’attuale capo scouting dell’Udinese è entrato in contatto con l’associazione “Telefono donna” dove le vittime di maltrattamenti ricevono assistenza psicologica e non solo. Carnevale parla perché ha vissuto da vicino un dramma familiare quando aveva 14 anni: sua madre venne uccisa a colpi d’ascia sul greto di un fiume da suo padre che cinque anni dopo si sarebbe suicidato davanti agli occhi del figlio gettandosi dalla finestra. «Quella fu una liberazione per tutta la famiglia», dice oggi Andrea.

Il libro, edito da Booksport, sarà in libreria dal 25 aprile. «Parlarne dopo tanti anni è stato un po’ come liberarmi da quel dolore», racconta Carnevale. Lui quella tragedia l’ha saputa affrontare subito tuffandosi nel pallone, qualche problema in più l’hanno avuto gli altri suoi fratelli. «Ma il mio – dice – vuole essere un messaggio soprattutto alle nuove generazioni alle quali dico: fate attenzione a chi avete vicino, anche un piccolo gesto può essere violenza».

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