Treviso, la città senza calcio che uscì dai confini
Il gruppo Benetton arrivò negli anni ’90 a fare a Treviso quello che non riuscì a Milano alla Fininvest. Scomodiamo per una volta una abusata parola del linguaggio sportivo. Nella Marca era nato un «modello»

Il gruppo Benetton arrivò negli anni ’90 a fare a Treviso quello che non riuscì a Milano alla Fininvest. Scomodiamo per una volta una abusata parola del linguaggio sportivo. Nella Marca era nato un «modello».
E questo modello abbracciava basket, rugby, pallavolo e Formula 1 sotto un unico marchio ed un’unica famiglia negli anni in cui nientemeno che Silvio Berlusconi ci provò con il Milan, abbandonando assai presto rugby, hockey e volley considerati non sostenibili.
Ci sono cose che evidentemente vengono meglio in provincia. E vista da fuori Treviso ha sempre rappresentato un unicum nello sport italiano: una città senza una rilevante tradizione calcistica ma che vanta titoli mondiali da far invidia alle maggiori metropoli del continente. Tutto accadde sotto il marchio Benetton, portatore a sua volta di una visione imprenditoriale così tipicamente nordestina, sia nel piccolo che nel grande.
Oggi che - detto senza alcuna nostalgia ma come puro dato di fatto frutto dell’evoluzione - di quel mondo resta poco, che tutti gli sport, nessuno escluso, sono strumenti in mano alla politica internazionale più che alle aziende, tra gli appetiti dei paesi del Golfo e il capitalismo americano rappresentato dagli onnivori fondi d’investimento, di quella storia rimane il racconto glorioso.
Ma perché proprio a Treviso, quella cosa funzionò, mentre altrove non fu possibile inanellare stagioni vincenti ed altre epiche - come quella del 1995 per la Formula 1 - da avvicinare alle leggende dello sport? La risposta sta in una frase di Luciano Benetton che risuona nel documentario presentato ieri: «Non volevamo una pubblicità convenzionale, dovevamo fare qualcosa che desse fastidio in tutto il mondo».
Il marketing la chiama strategia oceano blu: evitare di fare quel che fan tutti. A partire in questo caso dalla ridefinizione dei confini. In anni in cui l’orizzonte era italiano, Benetton guardava al mondo. E vinse.
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