Carlo Barbante, dallo scudetto con il Petrarca alle perforazioni in Antartide

Il 62enne professore di chimica analitica e cambiamenti climatici all’università Ca’Foscari di Venezia, è uno dei più importanti scienziati italiani

Simone Varroto
Carlo Barbante in Antartide con la palla ovale nella foto pubblicata sui social dal Petrarca prima di Natale
Carlo Barbante in Antartide con la palla ovale nella foto pubblicata sui social dal Petrarca prima di Natale

Dallo scudetto col Petrarca allo studio dei cambiamenti climatici, dal Veneto al Polo Sud, nel nome della scienza ma con il club tuttonero nel cuore. Carlo Barbante, 62 anni, professore di chimica analitica e cambiamenti climatici all’università Ca’Foscari di Venezia, è uno dei più importanti scienziati italiani: un glaciologo di fama internazionale, a capo di un progetto di ricerca europeo sull’impatto dei gas serra e sulle variazioni di temperatura, che da dieci anni coinvolge circa 200 ricercatori di 10 nazionalità in un remoto sito di perforazione tra i ghiacci dell’Antartide.

Ma è anche un ex rugbista, con un passato importante tra Feltre e Padova, e a Natale ha voluto mandare degli auguri speciali agli amici del Petrarca Rugby, che prontamente hanno rilanciato sui social della società la sua foto, in cui stringe sorridente un pallone ovale a una trentina di chilometri dalla base italo-francese di Concordia.

«Portiamo avanti questo progetto da una decina d’anni e siamo ormai alla sua fase finale: stiamo raccogliendo gli ultimi campioni e nel 2026 pubblicheremo i risultati – spiega Barbante –. L’obiettivo è ricostruire la storia del clima del pianeta nell’ultimo milione e mezzo di anni, mi occupo delle analisi chimiche dei campioni di ghiaccio. Dove stiamo scavando, la calotta antartica è spessa più di 3mila metri e più scendi giù più torni indietro nel tempo».

Dove si trova il sito di perforazione?

«A circa 1.200 km dalla costa e 3.200 metri di quota. Cinque anni fa siamo partiti con le prime perforazioni e siamo riusciti a scendere fino ai 2.800 metri di profondità, cioè fino a 1 milione e mezzo di anni fa. È un periodo di variazioni naturali molto ampio che ci aiuta a comprendere meglio anche gli sviluppi e i cambiamenti attuali, comparandoli con quanto accaduto nel passato».

E dai dati raccolti come si presenta l’attuale situazione del clima?

«La situazione è molto grave, ci siamo spinti oltre ogni soglia e limite sopportabile dal pianeta. Quanto stiamo vedendo dalla nostra ricerca conferma ancora di più che l’emissione di gas serra e l’effetto dell’attività dell’uomo sono molto impattanti sul clima, perciò è urgente limitare le emissioni di polveri per evitare di aggravare il cambiamento climatico».

Tra tanti dati da analizzare e ricercatori da coordinare, ha anche il tempo per pensare alla palla ovale?

«Certamente, in Antartide mi sono portato il pallone da rugby ed essendo sempre rimasto in contatto mi è sembrato bello mandare gli auguri di Natale ai miei amici del Petrarca».

Segue ancora la squadra di Padova?

«La seguo molto, anche per il legame d’amicizia con il direttore generale Corrado Covi, e quando posso vado a vedere le partite alla Guizza. Mi sembra un Petrarca pieno di risorse e non ho dubbi che possa raggiungere i suoi obiettivi. Ma chiaramente la mia visione è un po’ falsata dalla fede tuttonera. Chi ha calcato il campo del Tre Pini porterà sempre quei colori nel cuore».

Cosa la lega a Padova?

«Anni stupendi e fondamentali della mia vita. Sono di Feltre ma ho frequentato l’università a Padova negli anni ’80, riuscendo contemporaneamente a farmi spazio nell’Under 23 del Petrarca e nel Tre Pini, salendo in massima serie con Pasquale Presutti, e con la prima squadra, debuttando nell’anno dello scudetto 1984, allenato da Lucio Boccaletto. Ma fu Roberto Luise, il mitico capitano dei primi scudetti, a propormi di venire ad allenarmi con loro, quando ancora giocavo a Feltre. Ho ricordi bellissimi, legati soprattutto a quel Tre Pini che riuscì, unico caso nel rugby italiano per una seconda squadra di club, a salire nel massimo campionato. Molti di noi poi esordirono anche in prima squadra».

Cosa ricorda di quel Petrarca scudettato?

«Ho fatto una sola presenza, da mediano, e ne vado orgoglioso perché all’epoca come mediani di mischia e di apertura il Petrarca aveva personaggi come Lorigiola, Collodo, Campese o Gould, tutti campioni, quindi non era facile emergere. Con Lucio ho esordito e imparato tanto, per poi continuare con la Tre Pini fino al 1988, quando mi sono laureato. Avevo 25 anni: avrei potuto giocare ancora ma il richiamo della scienza è stato più forte».

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