Medri, il sarto delle racchette da tennis
Gabriele Medri, l’ingegnere che personalizza gli attrezzi dei campioni: «Abbiamo perso troppi ragazzini che giocavano con telai e corde sbagliati»

È il sarto delle racchette da tennis. L’ingegnere in grado di mettere d’accordo tecnologia e talento, e capace di far dialogare fra loro l’intelligenza artificiale con quella artigianale. Un mondo (il suo) abitato da big data millimetricamente applicati a volée, inside in, battute e colpi da fondo campo.
Gabriele Medri, cesenate, classe 1972, poliedrico e quotato collaboratore della Federtennis, è universalmente conosciuto come uno dei massimi esperti nella “customizzazione” (personalizzazione) delle racchette: un guru per tennisti professionisti e non, una manna per le aziende che producono gli attrezzi utilizzati anche da Sinner, Alcaraz, Paolini e compagnia palleggiante. Tecnicamente il suo ruolo è “responsabile del settore tecnico della Fitp per gli attrezzi di gioco”.
Quando non è impegnato a preparare le racchette dei campioni e delle campionesse di Fed Cup o della Davis, Medri gira i circoli di tutta Italia dispensando consigli ad amatori, campioni in erba ma anche addetti ai lavori, come maestri e incordatori. Il suo sapere digitale legato alla cinetica della racchetta è considerato un tesoro inestimabile.
Nei giorni scorsi Medri ha fatto tappa di nuovo nel Padovano, stavolta al Tennis club Montecchia di Selvazzano Dentro invitato dal responsabile Andrea Corsini e del direttore del circolo Giovanni Giordano.
Ingegner Medri, quanto conta avere una buona racchetta?
«L’attrezzo, statisticamente, quindi da test, incide in termini di velocità per un 10/15 per cento. Ma in termini di prevenzione degli infortuni molto di più. Telaio, corde monofilo o multifilo, tensione…».
A ognuno la propria racchetta insomma…
«Sì. La racchetta è come un abito sartoriale, se su misura funziona molto meglio per tanti aspetti. Soprattutto per prevenire gli infortuni. Per tanti anni la personalizzazione era una questione che riguardava solo i professionisti. La mia idea, insieme alla Federazione invece, è stata quella di studiare qualcosa che aiutasse tutti, non solo i pro».
Da quanto studia?
«Faccio test e raccolgo dati da circa 10-15 anni. Tutto è nato perché ci siamo giocati intere generazioni di ragazzini che si facevano male utilizzando attrezzi che non erano adatti alle loro caratteristiche. E 10-15 anni fa, quei ragazzini con cui ho iniziato a lavorare si chiamavano Nardi, Sinner, Arnaldi, ma anche le ragazze con cui abbiamo vinto la coppa a Malaga».
Quindi lei ha messo la racchetta giusta nelle mani di Sinner o di Nardi…
«Non esattamente. Perché Sinner all’epoca già giocava con una racchetta non troppo pesante. È anche adesso ne ha una simile. Lui è una cosa a parte. Ci tengo a sottolineare che noi non facciamo miracoli. Diciamo che abbiamo iniziato un processo che ci ha aiutato a risolvere molti problemi ai ragazzini. E i risultati si vedono».
Come si sviluppa il suo lavoro?
«In estrema sintesi analizzo nozioni scientifiche facendo test individuali, su capacità di accelerazione, su come si colpisce la palla, sulle doti fisico-atletiche, sui colpi da fondo campo».
Un consiglio per tutti: come si fa a scegliere la racchetta giusta? O l’incordatura più adatta?
«Partiamo dalle corde: non esiste la corda migliore in assoluto. Se produco mille watt in accelerazione ho bisogno di un certo tipo di corda, se ne sviluppo 500 ne avrò bisogno di un’altra, se sono un professionista e produco oltre duemila watt mi servirà un altro tipo di corda ancora».

I professionisti cosa usano?
«Le più usate sono le corde monofilo. Più dure, danno molte vibrazioni e per chi non è professionista possono essere pericolose perché sono corde con cui ci si più fare male alle articolazioni. Le corde per una racchetta sono come gli pneumatici per una moto. È opportuno scegliere la mescola più dura o meno dura a seconda della performance che si ricerca e dallo stile di guida».
Quindi meglio il multifilamento?
«Il multifilo dura di più: diciamo che il monofilo andrebbe cambiato dopo 10/12 ore di gioco. Il multifilo dopo 20/25 ore di gioco. Comunque si può fare anche una incordatura ibrida con multifilo e monofilo tra orizzontale e verticale. E poi c’è il budello».
Certo ma il budello costa molto e cambiarlo più volte durante la stagione diventa una spesa.
«Io dico sempre: costa di più tenere in ordine la racchetta con la tensione giusta e le corde adeguate o costa di più una serie di sedute di fisioterapia o di Tecar? Quanto costa una seduta di laser per far guarire il dolore a un arto? Diciamo 50 euro a seduta? Tenere in ordine la racchetta costa molto meno. A livello amatoriale, una racchetta customizzata aiuta prima di tutto a non farsi male. Quindi si gioca meglio e ci si diverte di più. Il budello può costare di più delle corde sintetiche ma ci si fa meno male e ha una durata maggiore».
Qualche consiglio su quali corde acquistare?
«No. Le aziende che le producono sono tutte di altissimo livello».
Parliamo del telaio: più pesante sul manico o sul piatto? Quali differenze? Come scegliere?
«C’è una massima di Jack Kramer (numero uno al mondo nel 1946, ndr) che diceva così: usiamo la racchetta più pesante che riusciamo a muovere, alla massima velocità, per l’intera durata della prestazione sportiva. In buona sostanza, il telaio più pesante aiuta soltanto a patto di non rallentare il gesto. Tutte le volte che ho una decelerazione in termini di velocità ho un decremento di prestazione. Pertanto la massa va bene, aiuta anche ad assorbire le vibrazioni ma non devo andare oltre quel limite che mi decelera il gesto».
E come tensione cosa consiglia?
«Più si aumentano i chili più è necessario avere un motore potente, quindi una buona accelerazione per riuscire a giocare bene. Un’accordatura più morbida dà più feeling con la palla anche se si è meno potenti. Un consiglio è quello di vedere se riesco a spostare le corde. Se le corde rimangono sempre in tensione quando colpisco significa che la tensione è troppo alta per il mio livello di gioco».

Ultima cosa: lei ha visto il cameo di Adriano Panatta nella Profezia dell’Armadillo in cui contestava a un giovane di essere troppo concentrato sul risultato, sulla tecnologia, perdendo così il senso del gioco? “Pof, pof, tu non puoi sapè”, diceva…
«Quel video contiene una semplice ma profonda verità: molto spesso chi gioca a tennis pensa che per fare punto e per giocare una buona partita basti colpire forte la palla. In realtà nel tennis il colpo va sentito, bisogna sentire la palla, il suono. Pof, pof, appunto. E una racchetta “su misura” aiuta anche a questo». —
Riproduzione riservata © il Nord Est