La memoria e il sogno: davanti alla Coppa Davis a Trieste si rinnova la promessa dello sport
Gli oggetti prendono vita. Vedere la Coppa a Padriciano, a un passo da te, sfiorare la teca trasparente, posare per una foto accanto a questa bellissima signora argentata e lucida, fa parte di questa trama


Una sensazione, benedetta e maledetta, appartiene a chiunque si appassioni a uno sport. È una storia di oggetti. Ha a che fare con l’infanzia e con la vecchiaia, con il sogno di cosa potrà avvenire e con la memoria di ciò che accadde. Gli oggetti prendono vita. Vedere la Coppa Davis a Padriciano, a un passo da te, sfiorare la teca trasparente, posare per una foto accanto a questa bellissima signora argentata e lucida, fa parte di questa trama.
Sei arrivato in pellegrinaggio per vederla e provare qualche brivido, ma in fondo è lei che è venuta da te, è partita da Roma con la scorta ed è arrivata al Tennis Club Triestino; è come se fosse venuta a trovarti. La guardi e non puoi non pensare a Panatta e Sinner, a Bertolucci e Volandri, racchette di legno e fibre di carbonio, il profumo delle palline appena apri il tubo e il rumore danzante di certi colpi. Pensi alle tue notti insonni per un match in Australia, a tua madre che viene a rimproverarti perché sei sveglio alle 5 del mattino ma poi ti chiede: Quanto stanno?
Già, quanto stanno. La fede sportiva diventa visiva e addirittura tattile. Reliquie colorate, poster, polsini, tute, figurine, attrezzi, gli autografi e, naturalmente, le maglie. Lo sport corteggia gli oggetti, i mercanti l’hanno capito e fanno soldi con negozi, marchi, tenute da gioco e memorabilia. Sai che è un agguato affettivo ma ti arrendi.
La Davis è gigantesca, con quel basamento da altare laico. Un feticcio e una leggenda, ci sono quei nomi e quelle date, attraversano il tempo e la storia. Per chi ci crede, è il rinnovo di una promessa d’amore. —
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