Calcio italiano, eterno anno zero: in campo resistiamo, ma il sistema non regge

La Serie A investe il doppio della Liga e il triplo della Bundes. Dal 2020 si cresce nel ranking Uefa, ma i conti non tornano

Giovanni ArmaniniGiovanni Armanini
Gravina, Gattuso e Buffon, la nazionale riparte da loro
Gravina, Gattuso e Buffon, la nazionale riparte da loro

 

Il calcio italiano sembra ad un eterno anno zero. Giugno ha chiuso la stagione 2024-’25 con l’esonero del ct Luciano Spalletti e l’eliminazione di Inter e Juventus, che quantomeno in America hanno fatto cassa. Ma come siamo messi a confronto con gli altri paesi d’Europa?

Iniziamo distinguendo la nazionale e i club. Sono due mondi diversi e le fortune dell’uno non hanno nulla a che vedere con quelle dell’altro. Altrimenti l’Inghilterra ricchissima vincerebbe sempre Mondiali ed Europei e la Francia che esporta giocatori in tenera età non avrebbe la squadra più talentuosa pur avendo vinto nell’ultimo decennio un solo torneo internazionale (come noi).

Il problema non è certo che in Italia non giocano gli italiani, i primi sei paesi al mondo (dati CIES) per esportazione di calciatori sono Brasile, Argentina, Francia, Inghilterra, Spagna e Germania. Noi siamo diciassettesimi, a ben guardare ci sono pochi italiani all’estero, il contrario quindi.

I club, invece, non vincono più a livello europeo. Ed è vero: una Europa League e una Conference negli ultimi anni, 4 finali di Champions perse. Tuttavia dal 2020 in poi abbiamo sopravanzato Spagna e Germania nel ranking europeo dell’Uefa (quello che attribuisce i posti nelle Coppe). Non è un risultato da poco. E qui c’è il contraltare.

Significa che in campo ci facciamo valere anche se non abbiamo le ammiraglie come Real, Barcellona, Bayern, PSG. È forse un male? Non proprio, da noi si lotta ed è meglio così. Dal 2020 la Serie A l’hanno vinta 4 squadre diverse, nessuno come noi in Europa. E gli stadi che nel 2015 avevano il 58% di indice di riempimento quest’anno hanno registrato il 93% di presenze rispetto alla capienza.

Ci hanno detto che servivano stadi belli, che ci voleva il belgiuoco e invece guarda un po’, è bastata un po’ di imprevedibilità di risultati per riportare la gente allo stadio in anni in cui nemmeno la situazione economica ha dato extrabudget alle famiglie da spendere in biglietti.

Forse non giocheremo bene, ma in campo ci facciamo valere. Nel 2020 siamo entrati in pandemia con l’Italia quarta con 70.6 punti nel ranking europeo, quest’anno ci confermiamo secondi per il secondo anno di fila a 97.2. Semmai c’è da chiedersi come lo abbiamo fatto. E qui casca l’asino.

Sempre i dati CIES dicono che negli ultimi dieci anni (2015-2024) la Serie A tra acquisti e cessioni ha un bilancio negativo che l’ha portata a spendere 1,46 miliardi netti. Inarrivabile l’Inghilterra (-11.54), mentre la Spagna investe la metà di noi (-0.79) e la Germania sostanzialmente un terzo (-0.59). Anche perché nel frattempo, ad esempio, gli spagnoli fanno giocare i giovani del vivaio 4 volte più dei nostri.

Il problema, insomma, non è tanto in campo, dove ci difendiamo pur senza squadroni. Il problema è che il nostro calcio è insostenibile e dovrebbe ricalibrarsi e non pensare tanto a quello che accade fuori dal confine, ma a come ricostituirsi internamente, altrimenti questo senso di fallimento perenne continuerà ad attanagliare i nostri club di vertice dal primo all’ultimo.

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