Quei due morti sul lavoro mandati allo sbaraglio e come arginare il fenomeno
Arginare il lavoro nero e senza tutele è possibile solo facendo incontrare domanda e offerta: il disallineamento che si registra sta alimentando un mercato carsico


Mandati allo sbaraglio. Secondo le indagini della procura, i due lavoratori egiziani morti nel Veneziano a causa delle esalazioni presenti nella fossa settica in cui si erano calati, non solo erano privi di contratto, ma sembra non avessero esperienze pregresse in quel tipo di mansioni, erano privi di una formazione adeguata, non disponevano delle protezioni necessarie per svolgere quella mansione. Insomma, letteralmente inviati a mettere a rischio la propria esistenza.
In questo tragico episodio, non centra la fatalità o il caso, ma l’incoscienza e la dabbenaggine di chi ha pensato di mandarli a eseguire un lavoro pericoloso. È l’ennesimo episodio di una serie di incidenti mortali che stanno tristemente costellando le cronache e che devono far scuotere le coscienze, come ha recentemente sottolineato anche il Presidente Mattarella.
Per non rincorrere il sensazionalismo e alimentare l’idea che nel nostro paese il lavoro sia irregolare, sfruttato o “in nero”, dobbiamo ricordare che in Italia gli occupati sono oltre 24 milioni e di questi la grande maggioranza (circa il 70%) ha un contratto di lavoro a tempo indeterminato, cui si aggiunge il 10% di contratti a termine e il restante 20% di lavoratori autonomi. Dunque, il lavoro è dotato di tutele.
A questi numeri, tuttavia, si affianca la piaga dei “lavoratori invisibili” (in nero) il cui novero è stimato dall’Istat in poco meno di 3 milioni di persone, circa il 12% degli occupati regolari. L’aspetto positivo, se così si può dire, è che tale quota tende a rimanere stabile nel tempo. Ma, dall’altro lato, resta a un livello assai elevato e, soprattutto, non va calando. E ciò appare paradossale se osserviamo le dinamiche del mercato del lavoro con le imprese che, complice il calo demografico e le mutate attese delle giovani generazioni verso il lavoro, faticano a trovare manodopera disponibile.
Si tratta di un paradosso che è alimentato da una serie di questioni che si intersecano fra loro. In primo luogo, anche sul mercato del lavoro stiamo assistendo a una progressiva bipolarizzazione che divide sempre più nettamente le occupazioni a maggior valore aggiunto, quelle più pregiate, da un lato; e, dall’altro, quelle più esecutive e meno remunerate, peraltro progressivamente occupate da persone provenienti da altri paesi.
Questa forbice che si sta generando alimenta un “mercato carsico” che sfugge alle regole e che racchiude un insieme composito di condizioni: c’è chi preferisce volontariamente fare un lavoro “in nero” per poter arrotondare un altro salario o una pensione e disporre così di un reddito non tassato; c’è chi ignora le regole e le tutele del mondo del lavoro e quindi accetta un qualsiasi impiego pur di avere un reddito; c’è chi è costretto ad accettare per le condizioni irregolari in cui si trova. Insomma, la casistica di quanti alimentano questa porzione del mercato è alquanto differenziata e per provare a diminuire la percentuale di questa parte servirebbe un’analisi pragmatica con interventi e politiche mirate per evitare di fare – come si dice – di tutta l’erba un fascio.
In secondo luogo, ed è il tragico caso dei due egiziani morti, il “mercato carsico” in cui erano finiti è frutto di una impermeabilità che spesso si genera fra il mondo del lavoro ufficiale e regolare, da una parte, e quello non regolare, dall’altra. In una sorta di spirale perversa dalla quale faticano a uscire, il rischio per gli immigrati che giungono nel nostro paese senza un regolare contratto è di rimanere invischiati nelle maglie di faccendieri, organizzazioni di caporalato e malavitose.
La questione che si pone è superare il disallineamento informativo fra la domanda di manodopera del mondo produttivo e le realtà che accolgono questi migranti. Come detto, le imprese faticano a trovare manodopera e si tratta di un problema che si acuirà progressivamente (e per lungo tempo) a causa del calo demografico. Trovare le modalità di far incontrare le necessità delle imprese e la presenza di stranieri che cercano un’occupazione costituirebbe una strategia win-win e che li aiuterebbe a uscire dal circuito vizioso che li esclude dal mercato del lavoro ufficiale.
Alla fine, però, non possiamo eludere una questione di natura etica. Inviare persone a svolgere una mansione pericolosa nelle precondizioni in cui erano i due egiziani significa non avere, nella migliore delle ipotesi, consapevolezza delle conseguenze. Nella peggiore, un unico interesse: il profitto. In entrambi i casi, l’assenza di rispetto per la dignità umana.
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