Sempre meno giovani interessati ad aprire un’impresa: vacilla il mito fondativo della locomotiva Nordest
Il report annuale della Fondazione Toniolo parla chiaro: la fuga di giovani cervelli all’estero legata soprattutto alle basse retribuzioni post laurea. La fotografia nazionale: «Ci hanno rubato il futuro»


Depredati del futuro. E’ sconfortante, la cartella clinica dello stato d’animo dei giovani italiani tra i 18 e i 34 anni proposta dall’annuale rapporto dell’Istituto Toniolo, operante da un secolo nell’ambito della Cattolica di Milano. La versione 2025 presenta una diagnosi inequivocabile: solo uno su due (quota ancora più elevata tra le ragazze) è sorretto dalla speranza di una vita degna di questo nome, e che dia un senso all’esistenza.
Allarmato il commento di Elena Marta, docente di Psicologia sociale alla Cattolica, che ha lavorato sui dati: “Parliamo di una fase della vita che dovrebbe essere ricca di progettualità, sogni, voglia di futuro. E in questi momenti carichi di ansia e preoccupazione, è la speranza ad offrire la possibilità di ritrovare un orizzonte di senso, la possibilità non solo di sopravvivere agli affanni quotidiani, ma di fare un’esperienza di vita piena, per sé e per gli altri, dove anche l’impegno civico e solidale trova spazio e offre categorie di senso”.
Bocciata la scuola
Il rapporto 2025 è centrato su quattro aree: formazione, lavoro, partecipazione politica, relazioni sociali e benessere. I giudizi sulla scuola sono espliciti: solo il 54 per cento ritiene che essa garantisca pari opportunità a tutti a prescindere dalla condizione socio-economica; e appena il 37 per cento pensa che i risultati scolastici riflettano il vero talento degli studenti. Commentano gli autori del rapporto: “Il rischio è che si inaspriscano le diseguaglianze, con meno motivazione a formarsi bene proprio tra i giovani che più avrebbero vantaggio in termini di mobilità sociale da una solida formazione. È’ inefficace aumentare gli strumenti di aiuto a chi è in difficoltà, se non si parte dal senso che le persone attribuiscono alla scuola”.
Il lavoro è (anche) passione
Di particolare interesse è l’atteggiamento dei giovani rispetto al lavoro: i dati del Toniolo contribuiscono a smontare una serie di stereotipi. Per loro, avere un’occupazione è essenziale nei rispettivi progetti di vita; ma non un posto qualsiasi a prescindere. Spiega la ricerca: “In larga parte i giovani rifiutano l’idea di lavoro solo come necessità e responsabilità; deve poter abbinare passione e realizzazione personale. Ma chiedono anche un lavoro ben remunerato e che offra stabilità, associato a strumenti che sostengano la possibilità di conquistare una autonomia abitativa e mettano nelle condizioni di formare una propria famiglia. Insomma, più che perdere rilevanza il lavoro allarga i suoi confini rispetto alle dimensioni del ben-essere che sempre più si associano al ben-lavorare”.
La politica non ha appeal
Rispetto alla politica, emerge una netta difficoltà delle giovani generazioni a riconoscersi nell’offerta attuale, percepita come scarsamente in grado di attrarle e coinvolgerle. Sono soprattutto la crisi di rappresentanza e la polarizzazione del dibattito pubblico ad accentuare la sensazione che il bene comune sia trascurato, mentre prevalgono interessi di parte. E tuttavia, segnala il rapporto, “i giovani trovano sintonia con temi locali, per il miglioramento concreto delle loro comunità, e globali, legati ai diritti e alla sostenibilità. Pur prevalendo disaffezione e disillusione, non mancano elementi di speranza: la grande maggioranza degli intervistati crede ancora possibile contribuire al miglioramento del Paese. Ancor più alta è la percentuale di chi afferma che una politica più inclusiva, capace di offrire veri spazi di partecipazione per le nuove generazioni, migliorerebbe la loro percezione della democrazia e li avvicinerebbe all’impegno politico”.
Basta stereotipi di genere
Da ultimo, il capitolo delle relazioni: i giovani non sono affatto privi di valori, o addirittura portatori di dis-valori, come sostiene una narrazione diffusa. Costruire relazioni basate sul confronto sincero, sul rispetto reciproco e sulla valorizzazione dell’altro come persona autonoma è fondamentale per una società più giusta e armoniosa. Sottolineano i ricercatori: “In un mondo spesso segnato da stereotipi di genere e dinamiche relazionali disfunzionali, educare a un modello relazionale positivo diventa un atto di speranza e responsabilità collettiva”. Dalle interviste emergono tra l’altro l’aspettativa e il desiderio delle nuove generazioni di superare gli stereotipi di genere nella formazione delle proprie nuove famiglie e nella trasmissione di modelli educativi nei confronti dei figli.
Sintetizza Alessandro Rosina, coordinatore scientifico dell’Osservatorio Giovani del Toniolo: “I ragazzi chiedono spazi e opportunità reali per contribuire al miglioramento del presente, tenendo viva la speranza di un futuro più sostenibile e giusto. Il loro spazio strategico deve potersi estendere oltre la casa e il luogo di lavoro. I giovani sono spesso percepiti come distanti dalla politica, ma questa distanza non implica disinteresse verso le questioni collettive. Al contrario, molti manifestano una forte sensibilità verso temi come la giustizia sociale, l’uguaglianza di genere, la sostenibilità ambientale e i diritti umani. La sfida è trasformare questa sensibilità in un impegno attivo, offrendo ai giovani spazi e strumenti per esprimere le proprie idee e contribuire alle decisioni che influenzano il loro presente e futuro”.
A Nordest le Pmi non piacciono più
In tema di giovani, il Nord Est “fotografato” dal rapporto del Toniolo presenta alcune peculiarità, a partire dal mondo del lavoro. Nell’insieme del Paese, diminuisce in misura rilevante il numero di coloro che decidono di dare vita a un’impresa: a livello nazionale il calo negli ultimi dieci anni è stato di 150mila unità, pari al 24 per cento; attualmente, sono poco meno di mezzo milione.
In Veneto, la diminuzione è stata più contenuta, con una perdita di oltre 7mila unità, pari al 18 per cento; la consistenza odierna è di 34mila. Per il Friuli-Venezia Giulia, la contrazione è stata inferiore al migliaio, con un’incidenza dell’11 per cento, e un numero assoluto ad oggi di poco meno di 7.500 unità. La quota delle imprese giovanili in funzione sul totale delle aziende operanti in regione equivale al 7 e mezzo per cento sia nel caso veneto che in quello friulano: con posizioni peraltro tra le più basse in Italia, considerando che su 20 regioni il Friuli-Venezia Giulia si colloca al 13mo posto, e il Veneto al 15mo. Il calo generalizzato ha colpito in modo particolare il manifatturiero, le costruzioni e il mondo artigiano.
Dati significativi vengono dall’ambito delle università. Quelle nordestine si rivelano attrattive per l’area economica e per quella letteraria; in ogni caso, soltanto metà degli studenti che vengono a laurearsi da altre regioni rimarrebbe qui una volta completato il percorso. Tra i residenti, invece, tre su quattro preferirebbero “spendere” la laurea sul posto; rimane il fatto comunque significativo, che uno su quattro pensa di trasferirsi altrove, a conferma del fenomeno della “fuga dei cervelli” specie all’estero. E’ un problema in particolare (anche se non soltanto) di retribuzioni: a un anno dalla laurea, chi lavora all’estero può contare su uno stipendio medio di 2mila euro, a fronte dei 1.500 scarsi di chi opera in casa; a tre anni, la prima cifra sale a 2.500, la seconda migliora appena di un centinaio di euro; il che chiaramente fa la differenza.
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