Cucina italiana patrimonio Unesco, lo chef stellato Scarello: «Adesso non fermiamoci»

«Il primo pensiero va ai nostri avi, alle nonne e alle mamme d’Italia. È un patrimonio culturale difficile da spiegare, insegnare e portare avanti»

Anna Buttazzoni
Lo chef friulano Emanuele Scarello
Lo chef friulano Emanuele Scarello

Lo chef friulano Emanuele Scarello (cinque stelle Michelin) ripete una parola su tutte: tradizione.

Chef Scarello, cosa significa questo riconoscimento?

«La prima cosa che mi viene in mente è che questo riconoscimento appartiene in tutta l’Italia alle nonne, alle mamme, ai nostri avi. È il riconoscimento alla nostra cultura, una cultura millenaria, fatta di una tradizione portata avanti di generazione in generazione. Oggi questo è il frutto della nostra terra, della nostra passione, della nostra arte di vivere, un’arte di vivere che si manifesta nella cucina, quella buona, che è un bene di tutti. C’è un file rouge sottile che attraversa tutta la storia ed è la convivialità attraverso lo stare a tavola».

Sente anche un po’ suo questo traguardo?

«Personalmente la mia espressione di cucina è legatissima all’Italia, perché quando un ospite viene da noi non manca mai il tortellino, lo gnocco, la pasta. Sono legato alle nostre tradizioni che certamente rileggo in maniera più contemporanea, ma è quella la matrice, sono le nostre radici».

Con questo status cosa può cambiare?

«Il mio sogno è che in ogni angolo ci sia uno street food italiano, la possibilità cioè di mangiare un arancino, un frico, una rotella di musetto. Riprendiamoci fino in fondo la nostra tradizione e la nostra cultura, perché c’è sempre un po’ troppa esterofilia, eppure siamo noi l’unico Paese al mondo ad avere questo riconoscimento. Dobbiamo essere orgogliosi di poterlo mostrare all’estero».

Ci saranno più tutele per la cucina italiana?

«Non penso siamo mai stati secondi a nessuno, penso che siamo noi a doverla tutelare ogni volta che cuciniamo un piatto, mentre gli strumenti normativi spettano alla politica. Posso aggiungere che da chef ogni giorno sono grato ai miei fornitori, senza di loro non potrei fare grande cucina, sono loro la base di tutto e quindi se penso a tutele penso a quelle necessarie per i piccoli produttori».

Cosa deriverà da questo riconoscimento?

«Mi auguro che arrivi cultura, che prendiamo consapevolezza di un patrimonio che va spiegato, insegnato e portato avanti».

Quale errore non si dovrà commettere?

«Sento che non dobbiamo vergognarci di nulla, cioè, da noi si mangiano le trippe – piatto di cui sono goloso –, e quindi servo le trippe. Penso che dobbiamo restare affascinati da ciò che caratterizza un luogo. E poi, siamo arrivati per primi a questo riconoscimenti, è anche una spinta a continuare a lavorare per migliorare sempre, senza fermarsi, per il bene della nostra cucina».

Con quel piatto renderebbe omaggio a questo riconoscimento?

«A me vengono in mente gli gnocchi perché sono legato a Godia, magari con il tartufo nero, ma penso anche alla lasagna che rappresenta la convivialità, la tavola delle feste per stare tutti assieme, alla pizza e la milanese». 

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