I giovani e la dipendenza da smartphone? La soluzione non sono divieti e condanne indiscriminate

Sul tema è alto il rischio di sfociare nel panico morale, la paura di fenomeni ritenuti gravissimi. La videocrazia non nasce dagli adolescenti, ma dall’incapacità legislativa della politica

Peppino Ortoleva
Giovani con il cellulare, si è acceso il dibattito sull’ipotesi di vietarlo
Giovani con il cellulare, si è acceso il dibattito sull’ipotesi di vietarlo

Con lo sviluppo di sempre mutevoli tecnologie di informazione e di nuove abitudini di consumo assistiamo a ondate ricorrenti di quello che è detto “panico morale”: la paura e la condanna di fenomeni percepiti come minacce gravissime, insieme, per la stabilità della società e per i suoi princìpi etici. Qualcosa di simile sta ora avvenendo per l’uso e l’abuso dei telefoni cellulari da parte degli adolescenti.

Da una parte, il ministero dell’Istruzione obbliga i ragazzi di ogni ordine di scuola a deporre i loro telefoni all’ingresso in aula, dall’altro noti psicologi parlano degli effetti devastanti perfino irreversibili che questi apparecchi avrebbero sulle menti delle giovani generazioni. Il rischio che l’esplodere di un moral panic comporta è quello di trasformare preoccupazioni motivate in condanne indiscriminate, di trattare intere fasce di età come tutte da stigmatizzare.

E di ricorrere a divieti a tappeto, che sembrano rassicuranti per adulti e insegnanti ma più che mettere in guardia gli adolescenti dalle conseguenze dei loro comportamenti possono generare reazioni di ribellione. È bene invece distinguere i seri motivi di timore dalle ansie e dai luoghi comuni che esasperano le paure e le condanne.

È indubbio che l’eccesso di stimoli informativi simultanei può avere effetti negativi per le menti, non solo dei ragazzi: riduce la capacità di attenzione e rende difficile seguire a lungo uno stesso percorso come quello offerto da un libro o da un film. Se il problema è grave è anche perché questo solo in parte è voluto dall’utente, molto è guidato da chi ci bombarda di pubblicità e diffonde fake news e pornografia, sempre più aiutato da appositi algoritmi. La cosiddetta “videocrazia” non nasce dai ragazzi, ma dall’incapacità della politica di imporre in materia una legislazione adeguata.

Pensare comunque che proibendo i cellulari in classe si possa tornare alla scuola tradizionale basata sui libri e sull’autorità del docente è illusorio. Il nuovo sistema informativo è là per restare, del resto la scuola comincia a tenere conto anche delle opportunità che offre, per esempio la possibilità di fare “interagire” gli allievi con i contenuti loro proposti come non era possibile nell’era del libro.

Non dobbiamo dimenticare d’altra parte che tutta la storia dei media ha visto la tendenza a dare giudizi allarmistici sugli effetti negativi che le nuove forme di comunicazione avrebbero sui giovani: basta leggere quel che veniva scritto sul cinema negli anni Trenta (si diceva causasse comportamenti violenti o anche allora incapacità di attenzione e perfino “scosse epilettiche”) o ripensare il precedente moral panic, non ancora cessato, quello relativo ai videogame. È accaduto più volte che una nuova forma di comunicazione facesse più presa sui giovani che sugli adulti, e che questi si allarmassero per le possibili conseguenze, prima di tutto sulla propria autorità.

Quanto al rischio di vera e propria “dipendenza da cellulare” occorre stare attenti all’uso del termine, oggi applicato a comportamenti di ogni genere, dallo shopping al sesso. Non ci sono prove serie che i telefoni mobili creino una dipendenza paragonabile a quella da droghe. C’è chi preferisce parlare piuttosto di “sovrainvestimento”, evidenziare solo lo squilibrio nel tempo dedicato al cellulare rispetto ad altre attività. Certo, mentre ci concentriamo sui rischi dell’abuso del cellulare rischiamo di sottovalutare la presenza tra i giovani di una dipendenza grave e quella sì dimostrata: l’alcolismo. 

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