Banksy, il bambino migrante ha lasciato il suo muro: perché ora l’arte si divide sul suo recupero
Il recupero del Migrant Child di Banksy, asportato con un pezzo di muro da palazzo di San Pantalon a Venezia, divide il mondo dell’arte. «Operazione apripista» dice Carlo Silvestrin, curatore della Biennale Street Art . «Non ha senso» ribatte il writer Joys.

Il Migrant Child di Banksy non deve più preoccuparsi del troppo caldo o del troppo freddo, nemmeno dell’umidità che ne attanaglia i colori.
Dove è custodito ora, in un laboratorio-caveau in terraferma la cui posizione non viene comunicata da Banca Ifis (stiamo pur sempre parlando di un Banksy) per ovvi motivi di sicurezza, viene mantenuto a una temperatura di «comfort» massimo per il pezzo del writer britannico.
Non solo: in questo momento, il piccolo bimbo migrante non ha più l’acqua che gli lambisce la cintola, e non risente più della continua risalita salina che minacciava la parete del palazzo di San Pantalon. In condizioni controllate come quelle dello spazio in cui ora è conservato, la muratura si sta progressivamente asciugando: un altro tassello fondamentale per la sua conservazione.

Un passo indietro: perché il Migrant Child di Banksy è rinchiuso in un laboratorio segreto? Il pezzo del writer britannico è stato (letteralmente) tagliato dal palazzo di San Pantalon a Venezia, ora di proprietà di Banca Ifis che si è fatta promotrice del restauro, dove era apparso nella notte tra l’8 e il 9 maggio 2019. Come è apparso di notte, così se ne è andato, in quella tra il 23 e il 24 luglio, tra curiosi e residenti che hanno visto il sollevamento della gabbia in acciaio in cui era stato racchiuso. Un blocco da otto tonnellate, che è stato scortato in barca e poi in camion fino al laboratorio di destinazione.
Il restauratore che si sta prendendo cura del Bambino Migrante, Federico Borgogni, ora che il piccolo è al sicuro ha preso una piccola pausa dopo due mesi trascorsi a stretto contatto con l’opera.
Infatti, nella prima fase di restauro Borgogni ha pulito le superfici, tolto le polveri, effettuato i consolidamenti necessari per procedere al ristabilimento dell’adesione tra supporto murario e l’intonaco. Poi, ha preparato il blocco di parete per il distacco, lasciando un evidente vuoto nella facciata del palazzo di San Pantalon, poi di nuovo coperto da teli e impalcature del cantiere.
Il prossimo passo - mentre il piccolo “si asciuga”- saranno ulteriori rilievi per capire quali azioni mettere in campo e ultimare le operazioni di restauro. In sintesi, si dovrà procedere alla rimozione selettiva delle aree murarie compromesse, con riposizionamento dell’opera su un nuovo supporto alveolare, idoneo alla conservazione a lungo termine. Seguiranno quindi la stuccatura delle lacune e un’integrazione pittorica a sottotono, condotta con criteri di riconoscibilità e nel rispetto della materia originale.
Poi, la questione torna nelle mani della Sovrintendenza. Banca Ifis non nasconde la volontà di ricollocarlo «com’era, dov’era»: è una delle ipotesi al vaglio. Ma senza un’apertura da parte della Sovrintendenza, Banca Ifis non può procedere con le progettualità. In giorni in cui, oltretutto, la Sovrintendenza veneziana è a metà tra la nostra città e Roma, visto che Fabrizio Magani ora ha un ruolo di coordinamento nella Capitale.
L’altra domanda da porsi, nell’attesa, è che cosa ne pensi l’artista, Banksy. Il suo profilo Instagram - dove aveva rivendicato l’opera come sua - sono silenti da fine maggio, con raffigurato il suo ultimo pezzo. Un faro, con la scritta: «I want to be what you saw in me», «Voglio essere quello che hai visto in me».
Il curatore di Biennale Street Art Silvestrin: «Apripista, farà giurisprudenza»

Una prima pietra che fa giurisprudenza, un restauro voluto e spinto dal ministero della Cultura (nella figura dell’allora sottosegretario Vittorio Sgarbi), che traccerà una nuova strada per la street art. Ne è convinto Carlo Silvestrin, curatore della Biennale Street Art a Padova e fondatore di Cd Studio d’Arte.
Silvestrin, secondo lei è giusto restaurare il Migrant Child di Banksy o sarebbe dovuto restare a San Pantalon oggetto di maree e salso?
«La street art nasce come un messaggio che deve essere democratico e aperto a tutti e nello stesso effimero. Certo, il restauro snatura la sua genesi ma dà una consacrazione a questa forma d’arte».
Che cosa intende?
«Le chiavi di lettura sono compatibili. La street art che viene restaurata con la spinta del ministero della Cultura si smarca da come veniva trattata un tempo, da quanti non comprendono che un graffito è una forma di comunicazione. Oggi un graffito sul muro è ancora considerato fuorilegge».
Che cosa cambia con Banksy?
«La sua forma di comunicazione è un successo planetario, per il tipo di messaggio che lancia e come lo fa. È chiaro che lui sia considerato il guru. Guardiamo alle opere del Cinquecento e del Seicento: non salvaguardiamo solo Canova e Raffaello, oggi anche opere di artisti minori di quell’epoca sono tutelate. Se il Migrant Child sarà un viatico perché la street art sia tutelata, è positivo, apriamo una strada».
Che apertura immagina?
«La street art è una forma d’arte, dovrebbe essere educato il pubblico a capire che cos’è arte e che cosa è ancora oggi un gesto di danneggiamento della proprietà privata. Oggi per fare un dipinto di street art serve una Scia, o ancora una pratica paesaggistica con la sovrintendenza. Queste cose le ho imparate curando Super Walls».
Le opere che realizzate durante la Biennale Street Art come vengono conservate?
«Diamo la libertà al proprietario del muro, firma una liberatoria per cui non c’è obbligo di conservazione. La proprietà intellettuale resta all’artista, ma il proprietario del muro può anche decidere di cancellare l’opera. Detto questo...».
Che cosa?
«Ci sono numerosi studi che dimostrano come il valore di una casa aumenti del 30/35 per cento dove c’è un dipinto. Il valore intrinseco che acquista l’immobile è alto».
Il writer padovano Joys difende il dissolvimento dell’opera: «Non ha nessun senso, operazione commerciale»

«È un’operazione insensata». Lo ripete più volte Joys, nome d’arte di Christian Bovo, padovano, artista di punta della crew Ead, le cui opere spiccano anche sui muri dei grattacieli di Shenzhen in Cina. Suo è anche uno dei graffiti più estesi in Italia, all’Interporto di Bologna, senza dimenticare le tante opere in Veneto (e che si possono scorgere anche in treno, sulla tratta Padova-Venezia).
La sua posizione è rimasta salda a quella di sei anni fa, quando l’allora sottosegretario alla Cultura Vittorio Sgarbi aveva lanciato l’appello per il restauro del Migrant Child. Ancora non era stata messa nero su bianco l’intesa con banca Ifis, nemmeno la vendita del palazzo. Ma subito si era aperto il dibattito sull’opportunità di conservare un’opera come il Migrant Child nata per essere effimera. «Queste azioni un giorno ci sono, quelle dopo no», aveva detto nel 2019, «sono forme di strumentalizzazione».
Joys, nella notte tra mercoledì e giovedì il Migrant Child è stato tagliato e portato in un laboratorio per poter procedere con il suo restauro. Pensa ancora che sia un’opera che avrebbe dovuto restare effimera?
«Questa operazione di recupero non ha nessun senso, non ne trovo la logica dal punto di vista artistico. È paradossale: costa di più il suo restauro. E, oltretutto, l’artista è una persona vivente. Sa che cosa?».
Mi dica.
«Bisognerebbe chiedere al diretto interessato. Andrebbe sentito Banksy, sapere che cosa ne pensa».
Certo, un’opera realizzata in quel punto preciso del palazzo, a pelo d’acqua...
«È stata pensata per essere e restare lì. Ora dipende tutto dalla speculazione che è in corso su quell’opera e in generale sul lavoro di Banksy. Se Banksy avesse voluto, avrebbe potuto benissimo realizzarlo su una tela, ne è capacissimo, o ancora un altro medium. Ha fatto le sue scelte e trovo assurdo questo sperpero di soldi. Non vedo tanto dibattito».
Perché?
«È un’operazione commerciale, voluta da altri. L’avesse chiesta lui, sarebbe anche stato comprensibile. Così è un non sense. In una mossa del genere, e lo dico senza cattiveria, non vedo amore per l’arte, ma risonanza mediatica e speculazione».
C’è chi vede però un’opportunità per la street art, per la sua tutela e in un certo senso legittimazione.
«Il problema non sussiste, chi fa queste opere non lo fa per queste ragioni. Altro discorso è la non conoscenza, e chi specula vive su questo. È un’operazione insensata».
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