I bimbi che giocano a calcio in strada più che multe, meritano applausi

Amarcord dell’ex sindaco di Venezia sul caso di Murano: «Ai nostri tempi, uno a turno faceva il palo e avvisava tutti gli altri se all’orizzonte appariva un’uniforme»

Paolo CostaPaolo Costa

La notizia dei quattordici ragazzini multati a Murano per aver giocato a pallone è stata in questi giorni commentata per la “severità” del regolamento comunale. Ma la vera notizia giunta da Murano è che a Venezia ci sono ancora bambini che giocano in strada divertendosi in fondamenta o in campo invece che davanti allo schermo di un computer o di uno smartphone.

Una pratica da incoraggiare anche se da mediare con la “quiete pubblica” in una guerra gentile con i carabinieri che non va cancellata: il gioco del calcio che si completa con una sorta di “guardie e ladri”. Pratica educativa del cui valore possono dare testimonianza molti veneziani di una certa età. Di sicuro quelli che negli anni Cinquanta «giocavano al calcio» sui masegni del Campiello del Piovan alla Bragora: un piccolo campo rettangolare, nascosto nel cuore di Castello, che era la loro palestra all'aperto, il loro oratorio auto-organizzato, un efficace dopo scuola di vita che li educava anche sollecitando la loro fantasia organizzativa.

Ogni partita, serve una vedetta

Il gioco del pallone nei campi era allora proibito e i vigili urbani erano particolarmente ligi nel farlo rispettare. Ma proprio questa sfida aveva costretto i ragazzi del Campiello a forme sempre più raffinate di resistenza. La prima era quella preventiva. Prima di ogni partita si estraeva a sorte chi avrebbe fatto “il palo”, chi avrebbe rinunciato al divertimento immediato per garantire la sicurezza di tutti. Mentre gli altri giocavano, il prescelto si posizionava strategicamente per controllare le tre calli d'accesso al campiello. Quando appariva l’uniforme - blu d’inverno e bianca d’estate - del vigile, la sentinella lanciava l’allarme e in un attimo i calciatori si fermavano, nascondendo il pallone dietro la vera da pozzo al centro del campo.

Quando il vigile entrava nel campiello e si avvicinava al pozzo, chi veniva sorpassato se la dava a gambe levate. I più coraggiosi rimanevano, dichiarandosi innocenti spettatori. Se trovati sudati e ansimanti, giuravano di essere appena arrivati di corsa da San Marco! Spesso il vigile doveva accontentarsi di confiscare il pallone, del quale ovviamente nessuno reclamava la proprietà. E lì scattava il secondo livello di organizzazione: la colletta.

Non appena il vigile spariva con il pallone sottobraccio, i “calciatori” si guardavano e, senza bisogno di molte parole, si mettevano d’accordo sul riparto del finanziamento dell’acquisto del nuovo pallone: ognuno pensando a come convincere i genitori a metter mano al portafoglio. Chi si impegnava per dieci lire, chi per cinque, chi temeva di non poter ottenere da casa quel finanziamento straordinario passava per un turno senza venire per questo escluso dalla partita successiva.

Mutua assistenza

Era mutua assistenza pura: se giocavano insieme, condividevano insieme anche i costi. Lo stesso meccanismo scattava automaticamente quando “per sbaglio” il pallone mandava in frantumi la lastra di qualche finestra: tutti insieme a bussare alla porta del danneggiato, tutti insieme a scusarsi, tutti insieme a pagare il vetro nuovo.

Il terzo livello di protezione era il più audace. Quando il vigile decideva di fare sul serio chiedendo nome, cognome e indirizzo, il gioco si faceva duro. Il nome dichiarato non era necessariamente quello giusto, ma soprattutto l'indirizzo era sempre lo stesso: un numero civico preciso della Fondamenta San Lorenzo, allora vicino alla questura, che corrispondeva a una porta murata da tempo. Il vigile, scrupoloso, controllava sullo stradario l'ubicazione del numero civico, lo trovava regolarmente registrato e spesso ci credeva. Chi non se la sentiva di mentire così spudoratamente accettava la multa vera, ma anche lì scattava la solidarietà: la sanzione veniva divisa tra tutti i partecipanti alla partita.

Il fortino sotto assedio

Ma un giorno i vigili decisero di farla finita con il nostro fortino. Arrivarono in tre, coordinati, uno per ogni calle d’accesso. Non c'era scampo: eravamo accerchiati. Fu allora che attivammo il piano segreto, quello che tenevamo per le emergenze disperate. Sul campiello si apriva una porta sul retro di una tabaccheria. La porta principale di quel negozio dava direttamente sulla Riva degli Schiavoni. A mali estremi, estremi rimedi. Tutti noi piccoli calciatori ci precipitammo attraverso quella porta di salvezza. Attraversammo la tabaccheria come un'orda di barbari in fuga: scavalcammo il banco, schivammo le pile di giornali, superammo clienti sbigottiti e un tabaccaio che non capiva cosa stesse succedendo. Uscimmo dalla porta principale e ci dileguammo correndo lungo la Riva degli Schiavoni.

Quando i tre vigili entrarono nel campiello vuoto, trovarono solo un pallone abbandonato dietro al pozzo e il silenzio più assoluto.

Ecco perché oggi occorre sorridere alla notizia della multa ai ragazzini di Murano. Il calcio sui masegni del campiello insegnava competizione sana e cooperazione necessaria, stimolava a sviluppare l’ingegno e a praticare solidarietà spontanea. Ogni sfida - anche quella con i vigili - diventava una palestra di crescita.

I quattordici ragazzini di Murano stavano forse violando una regola, ma stavano frequentando la più antica e la più efficace scuola di Venezia: quella che insegna con l’esperienza diretta cosa significhi vivere insieme, rispettarsi, aiutarsi e non arrendersi mai. Il vero problema non è che giochino nei campi e neppure che i vigili, quando occorre, li multino. Il vero problema è che sono rimasti in pochi farlo. 

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