La responsabilità dei medici e il contentino inutile della riforma
La disposizione del governo è del tutto superflua e nulla aggiunge all’attività già svolta nelle aule giudiziarie quando si deve accertare una condotta colposa

Il Consiglio dei ministri ha di recente approvato un disegno di legge delega proposto del ministro della Salute contenente le linee guida nel cui ambito il governo potrà essere autorizzato a legiferare con la predisposizione dei decreti delegati attuativi.
L’intervento normativo era molto atteso da tutto il settore che da tempo protestava per i diversi rinvii e per la proroga, di dubbia legittimità, delle disposizioni dettate durante l’emergenza Covid e allora giustificate dalla “necessità e urgenza” ormai, all’evidenza, superata.
Nel provvedimento sono state previste, fra l’altro, due norme che riscrivono i confini della responsabilità penale colposa nell’attività sanitaria prevedendo, per la morte o le lesioni colpose conseguenti all’attività medica, le stesse pene previste per i comportamenti colposi ma con la punibilità limitata alla colpa grave se il professionista «si attiene alle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge o alle buone pratiche clinico assistenziali, sempre che le predette (…) risultino adeguate alla specificità del caso concreto» (art 590 sexies co. 2 c.p).
L’articolo successivo dispone inoltre che «nell’accertamento della colpa o del suo grado si tiene conto anche della scarsità delle risorse umane e materiali disponibili, nonché delle eventuali carenze organizzative, quando la scarsità e le carenze non sono evitabili da parte dell’esercente l’attività sanitaria, della mancanza, limitatezza o contraddittorietà delle conoscenze scientifiche sulla patologia o della concreta difficoltà dell’attività sanitaria, dello specifico ruolo svolto in caso si cooperazione multidisciplinare, nonché della presenza di situazioni di urgenza o emergenza».
Il disegno di legge risulta più un generico manifesto diretto a dare un formale “contentino” alle pur risalenti e legittime aspettative del personale sanitario che non un equilibrato intervento che, nel predisporre un effettivo argine nei confronti delle tante denunce infondate e dei conseguenti infondati procedimenti penali, non dimentichi che la salute e la sua concreta tutela è prevista dalla Carta costituzionale come diritto fondamentale, senza la quale non può neppure parlarsi di “sanità”.
Le norme ora coniate stabilizzano la previsione prevista, ma in via temporanea per la pandemia Covid, senza confrontarsi con le puntuali critiche della dottrina penalistica e con gli spunti ricostruttivi della Corte di Cassazione, e neppure con le prime conclusioni della commissione creata dal ministro Carlo Nordio che, senza riuscirvi pur dopo pluriennali lavori, avrebbe dovuto presentare al Parlamento una riforma equilibrata e definitiva della colpa sanitaria.
La limitazione della rilevanza penale prevista risulta non applicabile in nessun caso, in quanto – se vengono rispettate le linee guida o le buone pratiche adeguate al caso concreto – non vi può essere alcuna colpa, né lieve né grave.
D’altra parte, nell’ipotesi in cui non siano seguite le linee guida, il caso dovrà essere giudicato secondo le previsioni generali, accertando se vi sia stata imprudenza, imperizia o negligenza indipendentemente dal grado della colpa in quanto il rilievo della “colpa grave” è previsto solo nell’ambito del rispetto delle linee guida adeguate.
Si giungerebbe quindi, con eterogenesi dei fini, ad allargare l’area della punizione delle condotte dei sanitari, superando gli approdi, già valorizzati dalle sentenze della Corte di Cassazione in tema di imperizia del medico, che già oggi non viene punita, se lieve, nell’ipotesi si verifichi nella fase esecutiva delle linee guida.
La necessità di tenere conto, nell’accertamento della colpa e della sua gradazione, della situazione di fatto in cui si era trovato il sanitario al momento di decidere tempi e modalità del suo agire appaiono dirette più a stimolare il consenso degli operatori della sanità che non ai giudici, non potendo essere accertata nessuna «imprudenza, imperizia o negligenza» senza la valutazione del contesto in cui è stato accertato il danno o la morte del paziente qualora l’operatore non abbia poteri direttivi o organizzativi.
La disposizione, quindi, è del tutto superflua e nulla aggiunge all’attività che già viene svolta nelle aule giudiziarie quando si deve accertare una condotta colposa.
In termini più generali, resta dubbia la possibilità di distinguere l’attività medica, pure particolare, differenziandola da altre attività professionali che, in diverse, ma altrettanto esposte discipline continuano a rispondere secondi i generali criteri di responsabilità per imprudenza, imperizia e negligenza.
Resta poi, ancora una volta, omesso ogni tentativo di individuazione delle “regole cautelari” variamente individuate dalla giurisprudenza, attraverso la comparazione tra la condotta concretamente realizzata e quella che sarebbe stata attuata da un immaginario professionista con le necessarie capacità, individuato dal giudice con le conoscenze acquisite dopo il fatto da esaminare.
Per il personale sanitario, ma per gran parte dei professionisti, resta quindi ancora non affrontata la necessità di porre più precisi confini ai concetti di “imperizia, imprudenza e negligenza” e di individuare le modalità del loro accertamento nel caso concreto.
Considerato poi che spesso i procedimenti penali finiscono con l’archiviazione o l’assoluzione dei medici, il vero tema dimenticato anche in questa legge delega è quello delle modalità e dei tempi dell’apertura del procedimento penale e dei danni morali, di immagine ed economici che ne conseguono ingiustamente.
La montagna, ancora una volta, ha malamente partorito un topolino creando, in coloro che hanno immaginato che il disegno di legge contenesse una limitazione della punibilità del sanitario nella sola ipotesi di colpa grave, un ingiustificato e infondato entusiasmo.
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