Il Nobel per la Medicina a chi ha scoperto i guardiani del sistema immunitario

Cellule ignote fino agli anni ’90. Insigniti il giapponese Sakaguchi e gli americani Brunkow e Ramsdell

Enrica Battifoglia
Nobel per la Medicina: le foto dei premiati proiettate al Karolinska Institutet, vicino a Stoccolma, all’annuncio
Nobel per la Medicina: le foto dei premiati proiettate al Karolinska Institutet, vicino a Stoccolma, all’annuncio

È stata una ricerca controcorrente e ha aperto la strada alla possibilità di manipolare le cellule che svolgono il ruolo di guardiani dell’immunità tenendo a bada il sistema immunitario quando aggredisce l’organismo cui appartiene.

Cellule che si stanno rivelando importanti per le malattie autoimmuni, ma anche per i tumori e i trapianti.

Guarda insomma al futuro il Premio Nobel per la Medicina 2025, assegnato lunedì al giapponese Shimon Sakaguchi (75 anni) dell'Immunology Frontier Research Center dell'Università di Osaka, vero e proprio apripista delle ricerche in questo campo, e agli americani Mary E. Brunkow (64 anni) e Fred Ramsdell (65).

Shimon Sakaguchi

Ad aprire la via è stato Sakaguchi nel 1995, spinto dalla convinzione che il sistema immunitario fosse molto più complesso di come lo immaginavano i suoi colleghi immunologi. Secondo la teoria diffusa allora esisteva un meccanismo, chiamato «tolleranza centrale», per il quale le cellule immunitarie pericolose venivano eliminate nel timo, la ghiandola del sistema immunitario che si trova nel torace.

Nonostante il parere contrario di molti, Sakaguchi ha seguito la sua idea fino a dimostrare che il sistema immunitario comprendeva cellule fino ad allora sconosciute: aveva scoperto le cellule T regolatorie, specializzate nel controllare le altre cellule immunitarie e nell'assicurare che il sistema tolleri i tessuti dell'organismo al quale appartiene.

Mary Brunkow e e Fred Ramsdell

Solo sei anni più tardi Mary Brunkow, dell'Istituto per la Biologia dei sistemi (Isb) di Seattle, fece un passo in avanti nella strada aperta da Sakaguchi. Iniziò così una serie di ricerche su topi modello di una malattia autoimmune in collaborazione con Fred Ramsdell, che oggi lavora all'Istituto Parker per l'immunoretapia dei tumori ed è consulente scientifico per l'azienda privata Sonoma Biotherapeutics di San Francisco. In questo modo i due sono arrivati a scoprire un altro guardiano del sistema immunitario, il gene Foxp3, e il suo corrispettivo in una gravissima malattia autoimmune che colpisce gli esseri umani, chiamata Ipex. Presto è stato chiaro, grazie a Sakaguchi, che il gene Foxp3 è una sorta di regista delle cellule identificate nel 1995.

Era nato così il nuovo campo di ricerca della tolleranza immunitaria periferica, che oggi è davvero ricco di promesse, come testimonia l'entusiasmo con cui la comunità scientifica ha accolto la notizia di questo Nobel.

Il Nobel

Un riconoscimento a una delle scoperte più rivoluzionarie dell'immunologia moderna, quella dei «direttori d'orchestra» del sistema immunitario, lo ha definito Massimiliano Pagani, responsabile del laboratorio di Oncologia molecolare e Immunologia dell'Istituto di Oncologia molecolare (Ifom) di Fondazione Airc e professore all'Università di Milano: «Per la comunità scientifica internazionale questo riconoscimento segna un momento storico, confermando il valore dell'immunologia nella costruzione di soluzioni cliniche concrete per la medicina del futuro», ha detto Paola Italiani, dell'Istituto di biochimica e biologia cellulare del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ibbc).

Quello assegnato lunedì è un premio che guarda ai futuri sviluppi della medicina anche secondo Nicole Soranzo, direttrice del Centro di Genomica - programma in Popolazione e genomica medica dello Human Technopole, istituto per le scienze della vita di Mind (Milano Innovation Discrict). —

 

Riproduzione riservata © il Nord Est