Trapianti, Padova fa scuola in Svizzera. Con Gerosa primo espianto a cuore fermo

L’organo è stato prelevato in Svizzera dopo l’accertamento della morte con criteri cardiaci e trasportato battente in Azienda Ospedale Università di Padova per l’impianto. Il donatore è un quarantenne, il ricevente un 50enne padovano

Erika Bollettin
Il professor Gino Gerosa dell'Azienda Ospedale Università di Padova
Il professor Gino Gerosa dell'Azienda Ospedale Università di Padova

A 40 anni dal primo trapianto di cuore del centro Gallucci, l’equipe dell’Uoc Cardiochirurgia dell’Azienda Ospedale Università, diretta dal professor Gino Gerosa, ha effettuato per la prima volta in Svizzera un espianto a cuore fermo (Dcd): il cuore, non più battente, è stato prelevato dopo che la morte era stata accertata con criteri cardiologici.

Un altro primato che si aggiunge ai continui traguardi e successi, che porta la “scuola” della cardiochirurgia padovana fuori dai confini. Ricordando che la procedura di espianto a cuore fermo è stata messa a punto per la prima volta in Italia dal professor Gerosa – era l’11 maggio 2023 – da allora è stata replicata 90 volte in diversi ospedali italiani. Una rivoluzione volta a migliorare i risultati del trapianto cardiaco da donatore a cuore fermo, evitando l’arresto controllato del cuore e annullando il danno da ischemia e riperfusione sia al prelievo, che al trapianto, assicurando una più rapida ripresa della funzione cardiaca e migliorando la performance post operatoria.

Grazie a una convezione con la Svizzera, che nasce all’interno degli accordi del Centro Nazionale Trapianti, è stata possibile questa collaborazione.

«Siamo partiti da Padova con la macchina per la perfusione cardiaca» spiega Gerosa «in Svizzera cambiano i tempi e di conseguenza le tempistiche: il periodo di attesa per dichiarare la morte celebrale è stato fissato in 5 minuti, l’asfigmia deve essere diagnosticata mediante ecocardiografia e dopo il periodo di attesa viene richiesta una diagnosi di morte cerebrale. In Italia sono 20 i minuti richiesti per certificare la morte celebrale. Per questo bisogna prelevare il cuore da fermo e poi metterlo nella macchina per la trasfusione ex-vivo e farlo ripartire nella macchina. Le tempistiche diverse hanno dato regole d’ingaggio differenti nell’intervento in Svizzera, ma soprattutto hanno posto altre problematiche: a Berna non avevano mai usato la tecnica, che ho scelto con la mia equipe. Il cuore ci ha messo 5 minuti a fermarsi, più 5 di elettrocardiogramma piatto, nel momento in cui siamo andati a prelevarlo erano passati 15 minuti. Solitamente viene somministrata una soluzione fredda che protegge il cuore, lo si mette nella macchina per farlo ripartire e valutare la sua funzione. Questo succede quando operiamo in Italia, con un tempo differente, che sono circa 45 minuti, il tempo per dichiarare la morte cerebrale nel nostro Paese. Per questo a Berna abbiamo scelto di non somministrare la soluzione cardioplegica, in modo che il cuore potesse ripartire immediatamente. Così è stato, ed è andato tutto bene. Abbiamo fatto questo primo prelievo di donatore a cuore fermo in Svizzera con la tecnica del direct procurement, nel senso che non si può profondere il cuore, bisogna prenderlo così com’è senza somministrargli la cardioplegia e lo abbiamo tenuto in macchina per 10 ore, contro le 14 ore registrate in operazioni simili».

L’intervento, tra un donatore di circa 40 anni e un ricevente padovano di quasi 50, è stato un successo.

Per un espianto a cuore fermo i parametri dei pazienti rispecchiano quelli richiesti dei trapianti “tradizionali”: isogruppo, si confronta anche il peso dei pazienti e il cuore deve essere in buone condizioni generali, buona funzione contrattile e di pompa.

«I cuori che possono essere trapiantati sono sempre meno ed è una tendenza che è destinata a crescere» continua Gerosa «oggi la morte cerebrale non è quasi più per trauma, oggi il donatore è vittima di eventi ischemici ed emorragici, è un donatore più anziano spesso con problemi di ipertensione o diabete. Ecco perché in Italia c’è un incremento del 10% grazie agli interventi a cuore fermo, non a caso dal 2023, dal primo intervento di questo tipo che abbiamo fatto al Gallucci, poi ne sono stati fatti altri 90». 

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