Come mantenere giovane il cuore: gli esperti a confronto in Giappone
Visto che le cellule del cuore non possono riprodursi, come possono almeno mantenersi giovani? Le soluzioni a confronto

Si tiene in questi giorni a Nara, in Giappone, il meeting mondiale dell’International Society of Heart Research (Ishr), la società scientifica per la ricerca sperimentale per le malattie del cuore. La sessione di apertura del convegno è stata dedicata a uno dei temi più caldi in questo momento, ovvero come mantenere quanto più possibile il cuore in salute nel corso della vita.
Il problema principale dell’invecchiamento del cuore è legato al fatto che le cellule del cuore che si contraggono, i cardiomiociti, non sono in grado di riprodursi nel corso della vita adulta. Per qualche motivo che ancora non comprendiamo, la capacità di divisione di queste cellule crolla drasticamente al momento della nascita.
Alcuni studi hanno mostrato come, in una persona di 70 anni, più della metà delle cellule del cuore sono esattamente le stesse con cui quella persona era nata – un evento straordinario, considerando che ciascun cardiomiocita in 70 anni svolge un lavoro meccanico enorme, contraendosi ritmicamente quasi 3 miliardi di volte. Situazioni analoghe avvengono anche in molti altri organi, a partire dal cervello. Visto che le cellule di questi organi non possono riprodursi, come possono almeno mantenersi giovani?
Ci pensa un meccanismo cellulare fisiologico che rinnova il contenuto delle cellule stesse rimuovendo le componenti danneggiate o invecchiate, in modo che queste possano essere rigenerate. Il meccanismo è stato chiamato “autofagia”, visto che consiste nella vera e propria digestione regolata di larghe porzioni interne delle cellule, e la sua scoperta ha valso il premio Nobel per la Fisiologia e Medicina a Yoshinori Ohsumi, un ricercatore giapponese, nel 2016.
Come possiamo allora stimolare questo processo di autofagia per mantenere le nostre cellule giovani? La migliore maniera è quella di affamarle, in modo che queste siano costrette spontaneamente a riciclare il proprio contenuto. Di fatto, è proprio questo uno dei principali meccanismi che spiegano l’azione protettiva anti-invecchiamento della restrizione calorica, ovvero un’alimentazione più povera del 15-20% rispetto a quella considerata ideale.
La restrizione calorica riduce i livelli di glucosio e colesterolo, rallenta il decadimento corporeo e allunga in maniera significativa la vita in tutte le specie in cui è stata provata, scimmie incluse. Nel cuore, induce autofagia nei cardiomiociti e li mantiene tonici e funzionali. Ma mangiare stabilmente il 20% in meno del dovuto è molto difficile.
In uno studio condotto qualche anno fa negli Stati Uniti, soltanto poco più del 10% di un gruppo di individui sani di mezza età cui era stato chiesto di sottoporsi alla restrizione calorica era riuscito a mantenerla per più di un anno. Come ben sanno tutti quelli che si sottopongono a una dieta, il nostro cervello fa molta fatica ad adattarsi a una situazione volontaria di sottoalimentazione, perché di fatto è stato programmato per cercare il cibo e accumulare energia sotto forma di grasso, non per evitarlo.
A Nara si è discusso di come una serie di cibi o di integratori alimentari possano di fatto stimolare l’autofagia nelle cellule del cuore senza dover costringere alla fame. Una delle molecole studiate è la spermidina, una poliamina naturale che si trova un po’ in tutti gli organismi ed è particolarmente ricca nei germi di grano, nei semi di soia, nei formaggi stagionati e nei funghi, oppure può essere comperata in forma purificata come supplemento alimentare.
Molti studi ormai mostrano come la spermidina possa esercitare una serie di effetti benefici, tra cui diminuire gli stati infiammatori (l’infiammazione è una delle condizioni che più stimolano il deterioramento cellulare e l’invecchiamento) e anche proteggere le cellule nervose. Una seconda serie di integratori ha come obiettivo quello di aumentare i livelli di una piccola molecola chimica chiamata NAD+, che serve come co-fattore di molti processi biochimici protettivi nelle cellule, e che diminuisce progressivamente nel corso degli anni.
Il NAD+ non può essere somministrato come tale, ma viene generato assumendo alcune molecole precursori, componenti naturali della vitamina B3, come la nicotinamide. Questi composti spengono l’attivazione di geni che vengono attivati dal cibo, e quindi attivano il processo di rinnovamento cellulare. Un integratore molto popolare negli Stati Uniti, venduto da un’azienda fondata da uno dei pionieri nello studio sull’invecchiamento, Leonardo Guarente, associa la nicotinamide riboside con un’altra molecola, lo pterostilbene, presente nella buccia dei frutti rossi e nel vino, che avrebbe una funzione sinergica.
Questi e altri supplementi alimentari per contrastare gli effetti dell’invecchiamento stanno già sostenendo un mercato miliardario. Il giro d’affari è stato intorno a 4,47 miliardi di dollari nel 2024, con una proiezione in crescita di circa l’8% all’anno nei prossimi 5 anni. Non sorprende, considerando che nel vicino 2030 ci sarà almeno un miliardo di persone sulla Terra con 65 anni o più, fino a raggiungere 2,5 miliardi entro la fine del secolo.
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