La triestina Biovalley porta in Europa il robot ChemoMaker per i farmaci chemioterapici

Il dispositivo costa un terzo del concorrenti, pesa 30 kg invece di 1,5 tonnellate e si inserisce negli spazi esistenti. La società ha completato un aumento di capitale da 760 mila euro e ora punta sulle Pmi

Giulia Basso
Il robot ChemioMaker si inserisce nelle postazioni di lavoro in ospedale
Il robot ChemioMaker si inserisce nelle postazioni di lavoro in ospedale

Pensate ai computer degli anni Ottanta: armadi enormi che occupavano intere stanze. Poi è arrivato il pc, che stava su una scrivania. Francesco Menegoni, amministratore delegato di Biovalley Investments Partner, usa questa analogia per spiegare la rivoluzione che l’azienda triestina sta portando nelle farmacie ospedaliere europee, grazie a un dispositivo che costa un terzo dei concorrenti.

La società guidata dal presidente Diego Bravar ora punta all’espansione in sette Paesi dell’Unione Europea. ChemoMaker è un robot per la preparazione automatizzata di farmaci chemioterapici che pesa 30 chili invece di 1,5 tonnellate, consuma quanto un tostapane (150 watt) e costa 200 mila euro invece di 600-800 mila. «Tutto è partito da un’idea dell’ingegner Paolo Giribona: invece di cambiare il layout della farmacia, facciamo un robot che s’inserisce direttamente nella postazione dove oggi si fanno le preparazioni manuali», spiega Menegoni.

I robot di prima generazione, inventati vent’anni fa dallo stesso Giribona e poi replicati da competitor, come Apoteca Chemo del Gruppo Loccioni ed Equashield, hanno conquistato appena il 5% degli ospedali. Perché richiedono lavori di ristrutturazione, investimenti pesanti e hanno consumi elettrici importanti. ChemoMaker invece s’inserisce nello spazio esistente, con precisione del 99,5% e costi di manutenzione ridotti di due terzi. «Se le potenze in gioco sono basse, anche i componenti si usurano meno», spiega l’ad.

I numeri del 2024 confermano la strategia: ricavi consolidati a 10 milioni di euro, Ebitda in crescita del 30% (da 1,3 a 1,7 milioni) e ritorno all’utile netto con 46 mila euro. La posizione finanziaria netta è migliorata di 836 mila euro. Nel primo semestre 2025 l’azienda ha completato un aumento di capitale da 760 mila euro su una valutazione pre-money di 16,8 milioni. «Finora abbiamo venduto 23 robot e cinque sono già installati», riassume Menegoni. I mercati sono Italia, Grecia, Malta, Cipro, Spagna e Olanda. La crescita degli ultimi anni è stata «in media del 100% anno su anno» e l’ad si aspetta un’accelerazione: «Il modello di business prevede anche il capitolo dell’assistenza. Più installazioni, più ricavi ricorrenti».

Per concentrarsi su robotica sanitaria e deep tech, nel 2025 Biovalley ha ceduto la controllata Logic Srl a Sinconis del gruppo Poligon. Menegoni riassume la strategia: innestare l’innovazione in pmi consolidate. L’esempio concreto è la tecnologia Icgeb per produrre biosimilari innestata in Serichim di Torviscosa, che ora sta industrializzando la produzione di insulina ad azione rapida. In nove anni il gruppo ha investito 15 milioni di euro sul territorio.

«ChemoMaker è nato grazie a collaborazioni con il Cro, l’Università di Trieste e gli ospedali locali, partendo da un bando regionale», racconta Menegoni. «Il contributo monetario non era rilevante, ma ha facilitato il dialogo con gli operatori, ha acceso la prima scintilla». Per l’ad il punto critico dell’innovazione italiana non è la ricerca ma la commercializzazione. «Se fai un robot con precisione del 99,5% e non lo metti negli ospedali non fai la differenza né per gli operatori né per i pazienti». Da qui l’idea di far incontrare pmi con storia e reputazione con start up che sanno fare innovazione ma non hanno esperienza consolidata. Su quella scintilla, Biovalley ha costruito un’azienda da 10 milioni di ricavi e un robot che, rimpicciolendosi, apre le porte a un mercato rimasto al 5% per trent’anni. —

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