Svegliare le cellule “addormentate” dei polmoni malati: si può?
La sfida dell’Icgeb di Trieste guidato da Luca Braga: «Abbiamo capito come riattivare i naturali meccanismi di riparazione»

Migliaia di microRNA testati, due molecole chiave identificate, una scoperta brevettata che potrebbe cambiare il destino dei pazienti con fibrosi polmonare. Il gruppo di Luca Braga all’Icgeb di Trieste ha trovato il modo di risvegliare le cellule “addormentate” del polmone, quelle che dovrebbero riparare il danno ma hanno smesso di funzionare.
Ora il progetto REPAir, finanziato dalla Fondazione CRTrieste, punta a estendere questi risultati ad altre gravi malattie respiratorie croniche. In stretta alleanza con la Pneumologia di Cattinara diretta da Marco Confalonieri, l’obiettivo è ambizioso: fare di Trieste un polo d’eccellenza per la medicina respiratoria traslazionale.
Dottor Braga, nella premessa alla nostra intervista lei mette in guardia dai facili entusiasmi. Eppure i risultati ottenuti sembrano promettenti...
«Sono sempre stato contrario alla scienza dei proclami. Negli anni si è spesso letto di malattie “curate”, ma questo non ha mai aiutato a far comprendere quanto lungo, tortuoso e incerto sia il percorso dalle prime evidenze precliniche all’applicazione clinica».
Cosa avete scoperto esattamente?
«Abbiamo testato migliaia di piccole molecole di RNA chiamate microRNA e ne abbiamo identificati due che giocano un ruolo chiave nella fibrosi polmonare idiopatica, una malattia cronica e progressiva. Questi microRNA spingono le cellule alveolari di tipo II – quelle normalmente responsabili della rigenerazione del polmone dopo un danno – a comportarsi come cellule “invecchiate”, riducendone la capacità di riparare l’alveolo. Con piccole molecole di Dna sintetico, capaci di neutralizzare questi microRNA, siamo riusciti a riattivare i naturali meccanismi di riparazione del polmone e a ridurre la fibrosi nei nostri modelli sperimentali. Abbiamo già brevettato queste scoperte».
Il progetto REPAir punta ad altre malattie respiratorie. Quali?
«Vogliamo estendere le ricerche alla Bpco, la broncopneumopatia cronica ostruttiva, con un’attenzione speciale a quella caratterizzata da enfisema. In questa malattia non è la fibrosi a predominare, ma la distruzione della struttura alveolare. Anche qui emergono difetti rigenerativi nelle cellule alveolari. In parallelo studieremo queste stesse cellule nel tumore polmonare: nell’adenocarcinoma sono i precursori del tumore. È un caso speculare: nella fibrosi manca proliferazione, nel tumore è eccessiva e incontrollata. Capire chi e come regola il destino di queste cellule può svelare meccanismi utili per diverse malattie».
La collaborazione con la Pneumologia di Cattinara sembra determinante...
«Per chi si occupa di ricerca traslazionale è indispensabile contare su partner clinici solidi. La nostra fortuna è stata incontrare nel professor Confalonieri e nel suo gruppo dei clinici con autentico interesse per la ricerca scientifica. Nel lavoro quotidiano significa dottorandi in co-supervisione e confronto continuo».
Quali sono i prossimi passaggi verso la sperimentazione clinica?
«Le sfide sono tecniche ed economiche. Portare un farmaco in sperimentazione clinica ha un iter molto lungo e regolato. È essenziale trovare partner con esperienza che ci supportino economicamente, rendendo il processo il più veloce possibile. Dico sempre ai ricercatori del mio team: la qualità del nostro contributo deve essere al massimo per aumentare la probabilità di avere successo. Ce la stiamo mettendo tutta, ma se vogliamo tempi brevi ci servirà anche un po’ di fortuna».
Il sostegno della Fondazione CRTrieste cosa rappresenta?
«È stato essenziale per potenziare la ricerca e acquistare strumentazione dedicata alla raccolta dei parametri di funzionalità respiratoria. Siamo l’unico gruppo accademico in Italia equipaggiato con questa strumentazione. Questi strumenti misurano parametri assimilabili ai valori spirometrici utilizzati nella valutazione dei pazienti negli studi clinici, favorendo così una collaborazione più efficace tra ricercatori e medici. Per il futuro serviranno spazi di ricerca integrati nelle strutture cliniche, indispensabili per processare immediatamente i campioni biologici».
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