Antonella Viola: “La buona medicina è per tutti, rendiamola democratica”
“La rivoluzione della cura” è il libro scritto con Alessandro Aiuti: verrà presentato l’8 maggio al festival Scienza e Virgola a Trieste. «Cambiare le prospettive di vita del paziente. Considerando terapie costosissime ma definitive»

«Siamo entrati in un’era rivoluzionaria, in cui possiamo manipolare Dna e Rna, le molecole fondamentali dell’informazione cellulare, per trasformare malattie un tempo considerate condanne a morte in patologie curabili definitivamente», afferma Antonella Viola, immunologa e docente ordinaria di Patologia all’Università di Padova. «Non parliamo più di tenere sotto controllo i sintomi, ma di cure definitive che, con un’unica somministrazione, cambiano completamente la prospettiva di vita del paziente».
L’8 maggio alle 21 al Teatro Miela di Trieste, nell’ambito del festival Scienza e Virgola, la professoressa Viola presenterà, insieme ad Alessandro Aiuti, pioniere della terapia genica per malattie rare, il saggio scritto a quattro mani “La rivoluzione della cura” (Einaudi, 2025).
Il volume esplora le frontiere più avanzate della ricerca biomedica: dall’editing genomico all’immunoterapia oncologica, dai vaccini a mRna alle cellule Car-T, tecnologie che stanno già curando patologie finora ritenute incurabili. Ma la vera rivoluzione, sottolinea Viola, deve essere anche sociale: questi progressi straordinari devono diventare accessibili a tutti.
Professoressa Viola, qual è l’essenza di questa “rivoluzione della cura” di cui parla nel suo libro?
«È un cambiamento totale di prospettiva. Nel libro raccontiamo come siamo riusciti a manipolare il Dna e l’Rna affinché malattie un tempo considerate condanne oggi siano curabili definitivamente. Non parliamo di tenere sotto controllo i sintomi, ma di cure che cambiano la prospettiva di vita del paziente. Questa grande rivoluzione scientifica deve accompagnarsi a un cambio di passo da parte di chi si occupa di sanità pubblica. Si pongono sfide nuove: guardare a lungo termine, considerare terapie spesso costosissime ma definitive. Oggi i sistemi sanitari sono abituati a pazienti con terapie che proseguono per tutta la vita, qui invece una volta fatta una dose la cura è definitiva».
Quali malattie sono già state sconfitte grazie a queste tecnologie rivoluzionarie?
«Il Dna, la base delle nostre informazioni genetiche, è come una lunga fila di lettere che detta la scrittura delle proteine, responsabili di tutte le funzioni vitali delle cellule. A volte accade che un errore nel Dna, una mutazione, porti a una malattia – la proteina non viene prodotta o diventa tossica. Per queste malattie genetiche si pensava non ci potesse essere cura. Oggi invece possiamo inviare all’interno delle cellule istruzioni per correggere il Dna, sfruttando virus modificati come veicoli per trasportare il gene terapeutico nelle nostre cellule. Questa tecnica è stata usata per l’immunodeficienza Ada-Scid, la malattia dei “bambini bolla” che non potevano vivere nel mondo esterno perché qualsiasi microbo rappresentava un pericolo mortale. Era una condizione fatale finché non è arrivata la cura: ora s’inserisce nelle cellule il gene terapeutico e i bambini guariscono. Lo stesso vale per emofilia e talassemie».
Queste tecnologie come stanno cambiando l’approccio alla lotta contro il cancro?
«La capacità di modificare il Dna ci ha permesso di creare nuove armi contro il cancro. Le cellule Car-T sono linfociti prelevati dal paziente, modificati geneticamente inserendo geni che consentono di riconoscere il tumore e distruggerlo. Queste cellule vengono poi reinnestante nel paziente ed entrano in circolo, eliminando le cellule tumorali. Oggi funzionano già molto bene per tumori del sangue come leucemie e linfomi, perché è più facile per i globuli bianchi trovare e attaccare queste cellule. I tumori solidi del pancreas, fegato o intestino sono più sfidanti perché i globuli bianchi devono penetrare nella massa tumorale. Ma la ricerca sta avanzando anche per questi ultimi».
I vaccini a mRna, diventati famosi con la pandemia, potrebbero avere applicazioni anche contro i tumori?
«Certo, ma quando parliamo di nuovi vaccini contro i tumori ci riferiamo a vaccini somministrati a pazienti che hanno già un tumore. L’idea è prelevare un frammento della massa tumorale, studiarne le caratteristiche e disegnare un vaccino su misura. Prendiamo l’Rna, lo inseriamo in particelle lipidiche, ma invece di insegnare al sistema immunitario a difendersi da un virus, come nel caso del Covid, gli insegniamo ad attaccare il tumore specifico del paziente».
Quali sono le sfide etiche più urgenti poste da queste nuove frontiere della medicina?
«La questione più urgente è far sì che tutte le classi sociali possano usufruire di queste nuove cure. Sono terapie molto costose che creano problemi ai sistemi sanitari. Ad esempio, la terapia genica per la beta-talassemia è disponibile negli Usa ma non in Europa perché i governi europei non hanno trovato un accordo sul prezzo con l’azienda produttrice. Servirebbe un approccio lungimirante, perché curare un paziente talassemico con trasfusioni per tutta la vita costa molto più del pur costosissimo farmaco».
E che dire delle malattie rare?
«È un altro problema: spesso le case farmaceutiche non sono interessate a produrre farmaci per pochi pazienti. È assurdo, perché così la cura esiste, ma nessuno la produce. Per i “bambini bolla”, fortunatamente, Telethon si è fatta carico della produzione del farmaco. Infine, c’è il tema della diagnosi precoce. In Italia esistono disparità regionali nello screening neonatale per le malattie genetiche: solo in Lombardia e Toscana si fa uno screening completo. Eppure le cure funzionano solo se vengono somministrate prima che si manifesti la malattia: bisogna intervenire subito». —
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