Il ministro Urso: «FdI resti primo partito in Veneto anche senza il presidente di Regione»

Il ministro: «Dopo il governo Lega-M5S siamo diventati il riferimento del ceto produttivo. Compensazioni? Non scambi tra Regioni. Serve una legge elettorale che garantisca stabilità»

Laura Berlinghieri
Il ministro Urso a Montegrotto in provincia di Padova
Il ministro Urso a Montegrotto in provincia di Padova

«Candidato alla presidenza o non candidato alla presidenza, noi dovremo comunque essere di gran lunga la prima forza politica del Veneto. Ed essere la prima forza politica del Veneto, a prescindere dall’avere ottenuto la candidatura, dimostra che la forza del partito non è determinata occasionalmente dall’avere o dal non avere il presidente, ma dall’avere un programma e una classe dirigente che sa di cosa ha bisogno l’Italia.

Perché – la chiosa, se mai ci fosse stato bisogno di un’ulteriore precisazione – essere la prima forza, senza avere la candidatura alla presidenza, è molto difficile. Ma questo risultato, una volta ottenuto, significherà soltanto una cosa: che siamo radicati in maniera indissolubile in questa regione».

Ha usato le parole, il ministro Adolfo Urso, venerdì sera di fronte ai duecento militanti padovani di Fratelli d’Italia, e altri novanta erano stati “respinti”: troppi, per la capienza del locale.

El Gaucho, a Montegrotto. La cena: ultimo atto della giornata del ministro delle Imprese, in giro per il Veneto.

Terra d’industria e partite Iva. Di una categoria che è storico elettorato del centrodestra; e allora pure terra di una parte di società tuttora in attesa di conoscere il nome di colui che, con ogni probabilità, sarà il suo interlocutore politico, in Regione, nei prossimi cinque anni.

La decisione – che sembra indirizzata, senza troppe interferenze, verso il leghista Alberto Stefani – sarà ufficializzata a giorni: tre al massimo.

Giusto il tempo di attendere l’esito del voto nelle Marche: se sarà confermato Acquaroli, la storia del Veneto è scritta; in caso contrario, ci sarà da “divertirsi”.

«La presidenza alla Lega, ma poi noi ci prendiamo tutto il resto: vicepresidenza del Veneto, vertice del Consiglio regionale, cinque assessorati di peso, ruoli di comando nelle partecipate e nelle aziende sanitarie.

Formalmente la spunteranno loro, ma nei fatti vinceremo noi» ragionava venerdì sera un meloniano, al tavolo con Urso.

Un ragionamento figlio di un sentire comune, se si pensa che l’unico intervento nel quale è stata scandita la rivendicazione della guida della Regione è arrivato da Nicholas Chioccini, presidente provinciale di Gioventù nazionale.

Ma altrove a regnare è la realpolitik. Quella che fa ripetere anche all’eurodeputato Stefano Cavedagna che «FdI deve essere il primo partito in Regione». Che spinge la collega Elena Donazzan a dirsi «pronta a candidarsi come capolista in tutte le province del Veneto», con un unico motivo ostativo: «Non vorrei essere un tappo per le altre donne». Anche se il vero ostacolo è un altro: FdI ha deciso che non ci saranno capilista negli elenchi.

È la realpolitik di una platea larga, che resta soddisfatta, nonostante la quasi scontata vittoria leghista nel duello.

«La Lega ha commesso un errore fatale, alleandosi con il Movimento 5 Stelle, e promuovendo prima il decreto dignità e poi il reddito di cittadinanza. È anche per questo se Fratelli d’Italia è diventato il partito d’elezione per il ceto produttivo» ricostruisce Urso.

Di fronte a lui, oltre alla schiera di militanti e amministratori, i volti simbolo di FdI – fu Msi, fu An – tra città e provincia: oltre al “padrone” di casa Enoch Soranzo, il suo “sfidante” alle prossime elezioni regionali Filippo Giacinti, poi i fratelli Gabriele e Raffaele Zanon, l’ex deputato (per 16 anni) Filippo Ascierto e i consiglieri comunali padovani Enrico Turrin ed Elena Cappellini.

Nomi che in larga parte appariranno sulle schede elettorali, alla volta del 23 e 24 novembre. Ma a sostegno di un candidato della Lega, si dice.

Compensazioni per FdI? Si parla della Lombardia, quando sarà il momento. «Ma i ragionamenti al tavolo credo siano altri, di tipo squisitamente politico» replica il ministro, «C’è la necessità di una coalizione solida. E si sta parlando di una riforma elettorale, che dia maggiore garanzia di coesione e stabilità a questo Paese.

Penso quindi che la partita sia più vasta rispetto allo scambio di Regioni, ed è giusto che sia affrontata in questo modo da un partito e una leader che devono guardare il ruolo che l’Italia potrà svolgere in Europa e nel mondo». E quindi la conferma del do ut des: il Veneto al Carroccio, in cambio del sostegno leghista alla riforma della legge elettorale. Promessa di stabilità, da qualsiasi parte la si guardi: aiuto salvifico per il partito di Salvini. E garanzia per Meloni, che punta soltanto a una cosa: assicurarsi la permanenza a palazzo Chigi il più a lungo possibile.

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