Terzo mandato, un vero rebus: Tajani chiude, Lega in pressing
La vertenza che agita il centrodestra entra nella fase cruciale. Tra i due contendenti, ad approfittarne potrebbe essere FdI. Il leader di Forza Italia gioca pesante: «Conta il consenso popolare? Ce lo avevano anche Hitler e Mussolini. No a eccessi di potere»

Premessa: dalle stanze del potere, cioè da quelle in cima a FdI, la mettono giù difficile, ma non impossibile. «Noi abbiamo fatto un’apertura vera, dimostrando una sincera disponibilità sul terzo mandato dei governatori chiesto da un alleato.
Ora bisogna percorrere un viottolo, che però sembra molto stretto».
Ma il fulmine lanciato dall’altro alleato, Antonio Tajani, che ha tirato in ballo nientedimeno che Adolf Hitler e Benito Mussolini per dire che «anche loro hanno vinto le elezioni, non è una questione di volontà popolare, due mandati sono sufficienti per evitare incrostazioni di potere», ai più smaliziati tra i leghisti fa pensare che «ora Forza Italia ha capito che Giorgia Meloni fa sul serio e quindi la sparano grossa per alzare la posta».
Insomma, malgrado gli ostacoli, se c’è la volontà politica si fa tutto e quindi saranno i tre leader a cercare le compensazioni per venirne a capo. Meloni avrebbe due buone ragioni per provare a cambiare la legge come chiede la Lega: far candidare in Veneto uno come Luca Zaia, che garantisce una vittoria con il 70 per cento di voti, e spaccare la sinistra in Campania, facendo ricandidare Enzo De Luca, fatto che aprirebbe uno squarcio nel Pd facendo molto male a Elly Schlein. Ma il percorso è irto di ostacoli e tutti lo sanno, nelle more di un dibattito tutto interno al centrodestra, che produce molti veleni.
Veleni tra alleati
Uno di questi è che al presidente di Forza Italia non conviene dare ai suoi attuali governatori regionali un orizzonte di 15 anni al potere, visto che tra loro e il vertice del partito non ci sarebbe eccessiva sintonia e che loro acquisirebbero una forza d’urto difficile da sradicare, come quella dei proconsoli romani. Ma in cambio magari di un tornaconto sui tagli fiscali alle imprese (e di una rinuncia dolorosa di Matteo Salvini alla pax fiscale) forse Tajani potrebbe anche sedersi al tavolo.
La legge sulla cittadinanza non la porterà a casa, ieri Giovanni Donzelli è stato chiaro a nome di FdI. Quella no. Magari, però, oltre al fisco, la candidatura per Flavio Tosi a Verona e di un altro azzurro a Venezia... Voci, ipotesi di chi crede nel buon esito di una partita che a ora resta un rebus, una sorta di fifty fifty sul quale è azzardato scommettere.
Asse Governatori-Premier
Sia come sia, sembra però esserci un asse tra i governatori della Lega e la premier, ovvero tra Luca Zaia, Attilio Fontana, Massimiliano Fedriga, Maurizio Fugatti e Giorgia Meloni. Loro spingono sull’acceleratore per il terzo mandato, lei li lascia fare e non li scoraggia. E a farne le spese, in un certo senso, Matteo Salvini, che ieri al Consiglio federale del Carroccio, dopo aver detto che sul terzo mandato «si va avanti e ribadiamo la nostra posizione», si è visto strattonare dal quartetto dei governatori.
I quali, parlando uno alla volta in batteria uno dopo l’altro - «chiaro che si sono messi d’accordo», bisbigli in sala – con diplomazia tutta democristiana hanno chiesto al leader di darsi da fare davvero fino in fondo: perché – per dirla con Zaia – «la Lega deve fare la sua parte e deve essere la prima a impuntarsi». Tradotto, Salvini non pensi di cavarsela se non la spunta.
Voci di corridoio spiegano che se il segretario restasse tiepido o ancor peggio fermo in trincea e FdI - dopo essersi spesa per Zaia - chiedesse a quel punto la candidatura in Veneto per un suo uomo, Salvini rischierebbe di trovarsi contro il partito del Nord (impersonato dai quattro governatori) e di andare alle elezioni azzoppato.
I macigni
Ma quali siano i macigni, i tecnici lo hanno ben spiegato voci autorevoli al segretario della Lega. Il primo: i tempi. Il termine per votare in Veneto è il 23 novembre, 50 giorni prima vanno presentate le liste; per far candidare Zaia, a fine settembre dovrebbe esserci una legge ordinaria in Gazzetta ufficiale. Improbabile. Dunque, bisognerebbe rinviare il voto di tutte le sei regioni al 2026, insieme alle comunali. Ma il Consiglio di Stato ha già detto no.
Secondo, quale vettore usare: un decreto no, un emendamento neppure, resta la modifica della norma primaria, roba che richiede mesi.
Terzo, i sindaci: se allungate il mandato dei presidenti di Regione, perché non anche a noi? hanno fatto sapere i primi cittadini. Un vaso di Pandora che è meglio non aprire.
Quarto: sicuro che tutti i presidenti di Regione siano favorevoli? Serve l’unanimità della Conferenza delle Regioni per procedere e quelli del Pd dovrebbero sconfessare la linea della loro segretaria per sdoganare il terzo mandato che farebbe ricandidare De Luca in Campania. Insomma, il viottolo è davvero stretto e i tempi pure.
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