Terzo mandato, trattativa bluff a cui non crede neanche la Lega

Pareri a mezza voce ma autorevoli raccolti in Transatlantico: «Una messa in scena a favore dei media che conviene a tutti»

Carlo Bertini
Il Transatlantico di Montecitorio
Il Transatlantico di Montecitorio

Ha un bel dire Ignazio La Russa che «una riflessione politica sul terzo mandato è positiva», perché lui stesso certamente sa che trattasi di un bluff.

È evidente, infatti, che nessuno nel partito della premier vorrà riaprire la questione, dopo che la Corte Costituzionale – tra quattro mesi - avrà chiuso le porte pure al terzo mandato dei presidenti di Regioni autonome, come il Friuli Venezia Giulia e il Trentino-Alto Adige. Matteo Salvini ne è consapevole, la sua è una battaglia di facciata: quando dice che «i cittadini devono poter scegliere chi governa... ma poi le mie giornate sono piene di altro», il Capitano lascia intendere di non volersi immolare su un terreno impopolare come la smania di poltrone.

E che del destino dei governatori-prime donne gliene importa fino a un dato punto.

Certo, Massimiliano Fedriga oggi andrà in pressing su Giorgia Meloni, ma con le armi spuntate, «perché – spiegano a Roma i ben informati - se pure minaccia di far cadere la sua giunta e il voto anticipato, persino Max rischierebbe alle urne se Fdi gli levsse il sostegno di tutta la provincia di Pordenone, controllata dal ministro Luca Ciriani».

Frasi corroborate da tre numeri che parlano chiaro: 35 per cento a FdI, 7 alla Lega e 5 a Forza Italia alle ultime elezioni. Quindi si tratta di alta tensione solo in apparenza, così dicono.

E poi, se non bastasse anche lo stop secco di Forza Italia sul terzo mandato - «il discorso è chiuso», fa riferire Tajani ai suoi - per capire l’antifona basta farsi un giro nel Transatlantico di Montecitorio. Dove, tra una battuta e l’altra, emerge con evidenza come tra il Carroccio e i Fratelli-coltelli stia andando in scena una pièce a uso mediatico. Su un tema osteggiato non solo da Meloni, ma pure dal Pd di Elly Schlein, che farebbe fuoco e fiamme contro una legge per consentire tre mandati ai “cacicchi” come Enzo De Luca.

«È chiaro – racconta un dirigente leghista in cambio dell’anonimato – che la Consulta darà torto a noi anche in questo passaggio. Quindi FdI non vorrà certo andare contro il parere della Corte. Specie perché a loro non interessa varare una nuova norma che consenta di fare tre round a governatori e sindaci, visto che non ne hanno neanche uno al secondo mandato».

Spiegazione convincente. Il vincolo dei due mandati, fissato per legge nel 2004, ha una ratio ben precisa.

Quella che nell’ordinamento italiano sindaci e governatori di Regione sono i soli due incarichi monocratici a capo di un organismo esecutivo cui si accede con elezione diretta, titolari di gran potere decisionale. Anche in America c’è il limite di due mandati per il presidente, ma non per i suoi ministri o per i parlamentari eletti.

Una motivazione stringente e difficile da sconfessare per chi, come Meloni, ha fatto inserire il limite massimo di due elezioni per il premier eletto dai cittadini nella sua riforma costituzionale.

E se questo «teatrino della politica», tanto per citare Berlusconi, può servire a far vedere all’esterno che non c’è nessuno scontro nella maggioranza, anzi: e che gli alleati sono disponibili a ragionare su un’istanza importante per la Lega, tra poco ne andrà in scena un altro, più aspro nei toni (ma non nella sostanza).

Quello sulle candidature alle regionali. Rivelano i vecchi leoni del Carroccio che quando sarà deciso di concedere ancora il Veneto alla Lega, qualcuno di Fratelli d’Italia dovrà per forza dire che c’è un accordo per cui a loro spetterà la candidatura in Lombardia. «Non possono mica passare per sconfitti...».

Ma a quel punto «i lumbard», per non vedersi saltare gli equilibri nella regione, dovranno ribattere che non esiste alcun patto, si vedrà nel 2028...

Caso strano, ieri il governatore Attilio Fontana si premurava di dire che a lui non dispiacerebbe un terzo mandato.

Un rilancio suonato come un «parlare a nuora perché suocera intenda». Insomma, dietro la facciata, tutti concordano che pur in presenza di tensioni (fisiologiche) tra alleati, il governo certo non cadrà. Ed è questo che conta per la Lega, più debole ed esposta di FdI.

Riproduzione riservata © il Nord Est