Tangenti Mose, l’inedito racconto di chi c’era: Devis Rizzo
Ha restituito 7 milioni di euro, illegalmente incassati dal Consorzio Venezia Nuova, è passato da testa di legno a spina nel fianco dei grandi corruttori. Lo scandalo letto con gli occhi delle maestranze

La storia del Mose raccontata dall’interno, da una delle aziende protagoniste dello scandalo. Cos’è successo ai dirigenti e alle maestranze quando il malaffare apparve in tutta la sua enormità, un miliardo di euro su cinque rapinato all’erario con sovrafatturazioni, tangenti, sprechi, perfino lavori pagati e mai eseguiti.
Era il «fabbisogno sistemico» come lo chiamava l’ingegner Piergiorgio Baita, un andazzo che andava avanti da dieci anni. Se dividete un miliardo per dieci anni, saltano fuori 280.000 euro al giorno. Ogni mattina che si alzava il sole 280.000 euro delle tasse prendevano il volo verso altre destinazioni. Finché il 4 giugno 2014 la procura di Venezia ha fatto saltare il banco.
Qualche settimana dopo, Devis Rizzo viene catapultato dalla scrivania di un ufficio alla plancia di comando del Coveco, il consorzio delle cooperative rosse che lavorano per il Mose e che rischia di chiudere. Deve salvarlo senza avere nessuna esperienza imprenditoriale, imparando tutto sul campo, a sue spese. Comincia una vita spericolata, anni di tensione continua che lo portano all’infarto, dal quale si salva per il rotto della cuffia.
Nel 2014 quando prende in mano il Coveco, le cooperative avevano il 2,5% dei lavori del Mose, oggi il Coveco ribattezzato Kostruttiva è il pilastro delle aziende del Mose. Devis è l’unico che ha restituito spontaneamente il denaro delle sovrafatturazioni, 7 milioni di euro, cosa che nessuna delle grandi imprese del Mose si sognava di fare. Tutte hanno resistito in processo. Rizzo ha rotto il fronte e l’ha fatto contro il parere di chi l’aveva messo a capo del consorzio, convinto che si sarebbe limitato a fare da prestanome.
Dieci anni dopo, questa avventura umana e professionale è raccontata in un libro, “L’Avana Marghera sola andata”. Un libro basato sui fatti, molti dei quali inediti anche se riguardano una vicenda sulla quale sono stati scritti quintali di pagine. Con un ulteriore pregio: parla del Mose da un punto di vista sempre snobbato, quello delle maestranze, dagli ingegneri agli operai che alla grande opera hanno lavorato giorno dopo giorno e non sono mai andati sotto i riflettori. In tv arrivavano solo i grandi capi.
Il 4 giugno 2014 Rizzo è a L’Avana con una delegazione della Lega delle cooperative. In Italia sono le 7 di mattina, Cuba è 6 ore indietro di fuso orario. Una telefonata da Marghera lo butta giù dal letto.
E’ un suo collega: «Hai saputo? Hanno arrestato tutti». «Tutti chi?». «Tutti, i loro, i nostri, tutti». Al rientro in Italia trova gli uffici sottosopra. La situazione è fuori controllo, da Roma i dirigenti della Lega hanno fatto sapere: voi avete combinato il disastro, voi ve lo gestite.
Tagliare i ponti, troncare i collegamenti: è la reazione che accomunò tutti i centri di potere coinvolti. Tutti spartivano i proventi del Mose, ma tutti prendono il largo quando l’imbroglio viene alla luce. Lo scandalo ha dimensioni nazionali, coinvolge politici, magistrati, poliziotti, alti burocrati, professionisti di grido, perfino il comandante in seconda della Guardia di Finanza in Italia.
L’ossatura della classe dirigente del Paese, quelli che ci dicono di rispettare le leggi i primi a farsene beffe. Per salvare il sistema bisognava retrocedere lo scandalo a dimensione veneta, anzi veneziana. E’ la linea che, ognuno per sé, tutti perseguono.
Il 27 giugno 2014 Rizzo è in ferie in Puglia e gli arriva un’altra telefonata: la dirigenza del Coveco è stata azzerata, servono nomi nuovi e per la presidenza hanno pensato a lui. Ventiquattro ore per decidere. Più che una poltrona è una graticola, Rizzo se ne rende conto, ma è tentato dalla sfida. Accetta ad una condizione, la garanzia del posto di lavoro in caso di fallimento. Ovvio che sì, gli rispondono. Menzogna: quando vorrà tornare gli sbatteranno la porta in faccia.
La sfida si rivela molto più dura del previsto. I dipendenti del Coveco si vedono arrivare uno sconosciuto, digiuno di tutto, a tirarli fuori dai guai. Figurarsi, i migliori pensano di andarsene, Rizzo deve sudare sette camicie per trattenerli.
Le banche allarmate revocano i fidi: su 15 che lavorano con il Coveco solo 2 mantengono aperti i rubinetti del credito. Gli ex dirigenti del Coveco chiedono al nuovo presidente di limitarsi a firmare le carte e lasciare il timone a chi ne sa più di lui. Gli fanno pressione continua, gli scatenano contro le cooperative consorziate.
Qui Rizzo si impunta: non solo si dissocia dalla gestione precedente ma fa causa agli ex amministratori del Coveco, sostenuto dall’avvocato veneziano Alfredo Zabeo, l’unico che gli è vicino e gli traccia la rotta. Su consiglio di quest’ultimo concorda con i commissari del Mose la restituzione di 7 milioni di euro, illegalmente incassati dal Consorzio Venezia Nuova. Un ravvedimento operoso, che gli vale l’uscita dal processo.
Cambiano i rapporti con la magistratura e con i commissari del Mose, ma non la situazione pericolante del Coveco: il governo non sblocca i fondi, non girano quattrini, Rizzo si arrabatta con gli ultimi cantieri rimasti in portafoglio, cambia il nome di Coveco in Kostruttiva, vende la sede per fare cassa, è ridotto a licenziare parte del personale. Finché nel 2018 è costretto a chiedere il concordato preventivo al tribunale: Kostruttiva è sull’orlo del fallimento.
Alla fine di quell’anno, l’acqua alta invade Venezia provocando danni milionari. E’ uno scossone per il governo che sblocca i fondi per il Mose. Kostruttiva riceve dai commissari incarichi di lavoro per 170 milioni di euro. E’ la fine della traversata del deserto per Rizzo. Kostruttiva si rimette in piedi, ma lui no: un infarto lo colpisce a tradimento, è solo in casa, non riesce a muoversi, la figlia piccola lo salva chiamando il 118.
Il 3 ottobre 2020 di nuovo l’acqua alta minaccia Venezia. La marea è a livelli del 1966 quando piazza San Marco andò sotto 175 centimetri sul medio mare. Invece le paratoie del Mose si alzano ed evitano un altro disastro. E’ lo sdoganamento del Mose, il sistema funziona. Rizzo riceve telefonate da mezzo mondo.
Da allora tutto va in discesa: l’intervento per proteggere la Basilica di San Marco, il progetto per isolare la piazza dall’acqua che non arriva dal bacino ma cresce dal basso, da sotto i masegni. E i lavori di compensazione ambientale per salvaguardare la laguna, lasciati colpevolmente per ultimi. Con una nuova sfida da intraprendere, la manutenzione delle paratoie, futuro tutto da inventare.
Tra i bilanci che il libro traccia a fine corsa, c’è la disillusione di Rizzo alla “scoperta” che le cooperative rosse erano dentro al patto consociativo, incassavano sovrafatturazioni e pagavano tangenti come le altre imprese del Mose. La presunta superiorità morale vantata dalla sinistra non è mai esistita. O meglio, Rizzo è convinto che esistesse nel ’92 all’epoca di Mani Pulite, per il forte legame che c’era allora tra le cooperative e il partito.
Vent’anni dopo, con il tramonto delle ideologie tutti i gatti sono diventati bigi. La dimostrazione, a suo dire, è che l’inchiesta Mani Pulite lasciò praticamente indenne il Pci. Ma resterebbero da spiegare vicende come quella di Primo Greganti, il “compagno G” cassiere del partito e titolare del conto “Gabbietta” dove finivano le tangenti del gruppo Ferruzzi, da lui sempre negate. Negare tutto, sempre, anche l’evidenza: questa era la diversità.
Ma è acqua passata. Oggi Devis Rizzo ha senz’altro una diversità morale da poter vantare: il coraggio di aver ammesso e riconsegnato il maltolto. Un coraggio, ribadisce, che gli viene proprio da quella militanza politica. I contribuenti italiani dovrebbero essergli grati in ogni caso.
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