I politologi sul voto in Veneto: «Il centrodestra oggi è più credibile, la vera sfida sarà tra Zaia e Meloni»
Diamanti: FdI non otterrà il successo delle politiche. Feltrin: la coalizione di Manildo vale il 30 per cento. «Quello regionale è un voto politico di secondo ordine, il marchio nazionale della coalizione supera il programma»

Dalle Marche al Veneto, cosa influenza davvero il consenso elettorale? «Quello regionale è essenzialmente un voto politico, sia pure di secondo ordine, dove il “marchio” nazionale della coalizione prevale sul programma locale e oggi la proposta di governo del centrodestra, simboleggiata da Giorgia Meloni, appare più credibile rispetto a quella del centrosinistra», è il commento di Paolo Feltrin, docente di Scienza dell’amministrazione e analisi delle politiche pubbliche all’università di Trieste.
«Sì, in questa tornata gli elettori guardano soprattutto a Roma e, a differenza degli aspiranti sindaci che operano in uno spazio più ristretto e quotidiano, i candidati alla presidenza delle regioni incidono in misura modesta. Certo, Zaia, De Luca e forse De Caro rappresentano una vistosa eccezione ma in generale è la dinamica dei partiti a prevalere», fa eco Giovanni Diamanti, professore di Marketing elettorale all’ateneo di Padova.
L’astensionismo gradito

Uno sguardo all’affluenza, in costante caduta: a dispetto degli appelli e del battage mediatico, la metà dei marchigiani non ha ritirato la scheda e la tendenza sembra consolidarsi. «C’è da dire che il Viminale continua a includere nella media il 5-6% di residenti all’estero, una frazione strutturalmente astensionista che andrebbe depennata dalle percentuali», replica Feltrin; «A parte ciò, l’Italia si ostina a ignorare ogni alternativa al seggio mentre il resto del mondo va in altra direzione. Un esempio? In Norvegia le elezioni si sono svolte l’8 settembre, fin dall’1 luglio era possibile votare per posta e il 60% dei cittadini ha adottato questa opzione. Che altro? Negli Stati Uniti la data dell’election day non cambia da due secoli, qui viene fissata in extremis secondo calcoli di bottega, in barba alle esigenze dei cittadini. Persino la Chiesa ricorre alla messa in streaming per favorire i fedeli ma l’obiettivo dei politici non è l’aumento della partecipazione, anzi: meglio evitare sorprese e puntare sui soliti votanti, pochi e sicuri».
Stabilità e avventure

In Veneto il centrodestra è condannato a vincere? «Da trent’anni, sì, come in Lombardia e, sul versante opposto, in Emilia Romagna e in Toscana», riflette Diamanti; «Certo la sorpresa è sempre possibile ma al centrosinistra servirebbe una combinazione astrale sommata a errori clamorosi degli avversari. Manildo gioca d’anticipo, è in campo da due mesi, ma ad ora non si segnalano effetti significativi nell’opinione pubblica. E i veneti valutano con cura i loro rappresentanti: nelle maggiori città scelgono amministratori di sinistra capaci, in ambito regionale premiano la sintonia con la maggioranza governativa». Nelle Marche che rinnova la fiducia al governatore tricolore Acquaroli, spicca il successo di FdI mentre FI supera la Lega e il campo largo a trazione Pd non sfonda.
Le chance di Manildo
«In tempi di crisi, di conflitti internazionali, di timore per il futuro, la stabilità diventa un valore e l’elettore non cerca avventure: si comprendono allora così il buon andamento dei forzisti di Tajani, sopravvissuti contro ogni previsione alla scomparsa di Berlusconi, e l’impasse dei protestatari, leghisti e 5 Stelle», è l’analisi di Feltrin, lesto a prefigurare un inedito duello a distanza: «Al di là di Stefani o chi per lui, qui la sfida vera sarà tra Luca Zaia, con il suo profilo istituzionale, e la vasta popolarità acquisita, e la leadership di Meloni. Manildo? Per scovare un’alleanza progressista competitiva bisogna tornare al 1995, non a caso una stagione caratterizzata dalla presenza di Prodi a Palazzo Chigi. Ora, realisticamente, il centrosinistra vale il 30%, ogni punto in più sarà grasso che cola».
Le prospettive di Salvini
«Credo che in Veneto l’onda lunga meloniana sarà arginata da Zaia, che nel suo territorio è più popolare della premier, pure stimata e apprezzata», la previsione di Giovanni Diamanti, che, interrogato sui contraccolpi degli eventi internazionali, distingue tra ragione e sentimento: «Nelle Marche lo sfidante Ricci ha incentrato la sua campagna sul dramma di Gaza, senza molta fortuna però, nonostante il forte impatto emozionale delle stragi. Analogamente, la tragedia palestinese ha scosso i veneti, consapevoli però che il voto regionale non influenzerà la politica estera del Paese».
Last but not least. L’annunciato successo di Stefani rafforzerà la leadership salviniana o l’eventuale exploit di Zaia oscurerà il Capitano? «Dipende se a prevalere sarà l’anima autonomista oppure il sistema di potere lombardo, certo è che il Leon raccoglie grande antipatia tra i leghisti alle altre latitudini», conclude Paolo Feltrin. Persuaso che «Matteo Salvini, pure quinto o sesto nel gradimento dei veneti che gli preferiscono anche Tajani, manterrà la redini della Lega, perché i militanti e i dirigenti gli riconoscono l’unificazione del partito su scala nazionale e, tra alti e bassi, l’avvenuto recupero dei consensi a fronte di un misero 4% di partenza».
Riproduzione riservata © il Nord Est