Schlein e la zavorra dei compromessi sulle Regionali
La segretaria Pd spera in una tornata vincente, ma paga la debolezza nei confronti di “cacicchi” e alleati scomodi


Prima del quadro, la cornice: queste elezioni regionali Elly Schlein può vincerle. Anche con un sonoro 4 a 2, riconquistando Toscana, Puglia, Campania e strappando magari le Marche a Giorgia Meloni. E come si sa, chi vince ha sempre ragione. Ma questa vittoria, che Elly prova a costruire con candidature condivise nel centrosinistra (i leader si ritroveranno alla festa di Avs mercoledì per un vertice sui nomi) potrebbe costarle cara. Perché il recinto del Pd è gremito di personaggi poco disposti a fare sconti: se Elly vincesse dopo aver ceduto ai ricatti dei “cacicchi” che aveva promesso di sgominare, subirà dei contraccolpi. Tutti dolorosi.
I diktat di Conte
Non la aiuterà l’aver accettato quella sorta di tribunale del popolo messo in piedi da Giuseppe Conte per giudicare dall’alto i candidati del Pd, prima bocciati, poi promossi, poi rimandati a settembre, a seconda delle disavventure giudiziarie o politiche. Vedi il caso di Matteo Ricci, scagionato dopo attenta lettura delle carte processuali quasi fosse un reprobo messo all’indice dall’Inquisizione; o quello del toscano Eugenio Giani, obbligato a sottoscrivere una cambiale in bianco sul programma, pena il rifiuto della candidatura. Per non dire del cedimento alla pretesa di Conte di far correre l’ex presidente Inps in Calabria Pasquale Tridico e Roberto Fico in Campania: lo stesso che nel 2018 strapazzava la gestione corrotta by De Luca, al quale oggi si chiede un appoggio convinto.
Le satrapie locali
A fomentare i detrattori della segretaria è poi la capitolazione di Elly ai diktat più urticanti delle “satrapie” locali. Come la promessa di un seggio alle politiche a Michele Emiliano in cambio della sua rinuncia a sedersi in consiglio regionale a fare le pulci ad Antonio Decaro. O l’obbligo di firma imposto da Enzo De Luca alla nomina di suo figlio Piero a segretario regionale della Campania e la sfilza di condizioni sul programma per dare un placet alla candidatura del grillino Roberto Fico.
Boccone indigesto, ma imprescindibile per non alienarsi i favori del governatore: scelta che però sconfessa alla radice le promesse fatte per vincere le primarie del Pd. E che di certo deluderà i suoi fan.
I mugugni nel cerchio stretto
Al fattore di rischio esterno si somma poi quello interno al suo inner circle: costringendo due membri della sua segreteria a ingoiare il rospo De Luca, Elly apre una prima seria ferita all’interno del gruppo dirigente Pd: i napoletani Sandro Ruotolo e Marco Sarracino, per dare un segno di discontinuità a un partito commissariato da anni, smaniavano per candidarsi al congresso regionale del Pd per stoppare l’ascesa a segretario del figlio del governatore. Al quale è stata promessa pure una sicura ricandidatura alle elezioni politiche. La segretaria però li ha fermati. E si può immaginare che reazioni abbia sortito questa mossa.
Per non dire della regola infranta di non regalare munizioni agli avversari: piegandosi ai “cacicchi” Schlein concede un argomento di campagna elettorale alla destra, come conferma la bordata lanciata sabato da Giovanni Donzelli di FdI ai «presunti progressisti» cantori del rinnovamento. E se alla fine tutte queste gabole sulle poltrone (che infastidiscono gli elettori) facessero perdere voti al suo Pd, Schlein avrebbe ottenuto un bell’ effetto boomerang.
La lotta per la leadership
E qui si arriva dritti al punto più strettamente politico: arretrando di fronte ai potenti dei territori, Elly mostra un deficit di coraggio e di cattiveria che potrebbe affilare gli artigli di Giuseppe Conte nella lotta per la leadership della coalizione. Una contesa che al di là della forza dei numeri (non considerata un problema dall’ex premier) la vede partire svantaggiata. L’aver ceduto a una serie di condizioni capziose, prestando il fianco a una selva di critiche non rafforza certo la posizione di Schlein in vista del test più significativo prima delle politiche del 2027.
Certo, lo ha fatto per mantenere coeso il mai nato “campo largo” e guardando alla luna (la vittoria delle regionali) più che al dito. Ma se anche la spuntasse su Meloni, questa sfilza di compromessi cui si è prestata rischia di compromettere un’ immagine finora rimasta cristallina agli occhi del romantico popolo di sinistra.
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