Regionali, i leader del centrodestra si preparano al vertice: ecco le candidature sul tavolo

In gioco ci sono gli equilibri di tutta la maggioranza. Meloni è forte del consenso crescente: lascerà il Veneto alla Lega, ma vuole Lombardia e Fvg

Carlo BertiniCarlo Bertini
I tre leader del centrodestra: Antonio Tajani (FI), Matteo Salvini (Lega) e Giorgia Meloni (FdI)
I tre leader del centrodestra: Antonio Tajani (FI), Matteo Salvini (Lega) e Giorgia Meloni (FdI)

Il conto alla rovescia è già scattato, tra una settimana si terrà il summit dei leader e si sapranno i candidati per le elezioni regionali di autunno in Veneto, Toscana, Marche, Campania, Puglia, Valle d’Aosta, visto che di rinvio del voto in primavera se ne parla, ma giusto per perdere tempo: nessuno nella maggioranza giustamente ci scommette un euro, stanti gli ostacoli normativi, formali e politici, non ultima una smorfia che spunterebbe dal Colle più alto se il governo facesse una legge per prolungare di sei mesi legislature regionali che devono durare cinque anni e basta.

Mentre a sinistra si scannano sulla Toscana (dove Elly Schlein vorrebbe sostituire Giani con uno dei suoi) e sulla Campania, dove il “cacicco” Enzo De Luca non gradisce il grillino Roberto Fico, a destra la partita è più intricata: il summit dei tre leader di centrodestra che dovrà suggellare un’intesa per le candidature, dovendo certificare una sorta di spartizione dello stivale non solo per il 2025 con svariate cariche in ballo, anche per gli anni a venire, ricorda il summit di Yalta, si parva licet, ovviamente: quelle settimane di lavorio diplomatico per far siglare a Churchill, Roosevelt e Stalin i nuovi equilibri del mondo dopo la guerra poco hanno a che vedere con simili quisquilie, se non che ognuno dei contendenti di questa italica tenzone si presenta con un bagaglio di pretese che si incastrano l’una con l’altra.

Ma avere un quadro di come si siederanno al tavolo delle trattative i tre protagonisti di questa sfida tra alleati, è bene cominciare dal peso dei singoli partiti, dalle armate di cui può disporre chi dà le carte.

Meloni vuole la Lombardia e il Fvg

Ora, come insegnano i sondaggisti, non è ai numeri assoluti che bisogna guardare, ma ai trend: e quello del centrodestra nell’ultimo mese è quanto mai positivo. Da lì si parte: il dato Ipsos di maggio fotografava uno spunto in salita dei partiti di centrosinistra, galvanizzati dall’inizio della campagna referendaria e quindi più esposti del solito. A giugno, a referendum celebrati con l’esito che si conosce, ovvero un flop, Pd, 5 stelle e compagni sono in vistoso calo: al di là dei proclami del dopo partita, gli italiani hanno ben inteso chi abbia vinto e chi abbia perso.

E a giugno boom del centrodestra: Giorgia Meloni si siede al summit forte di un 28% e passa, che tradotto nelle roccaforti bianche ex Dc - poi divenuti fortini di Forza Italia e della Lega, e poi di FdI - ovvero regioni come il Veneto e la Lombardia, diventa un numero che comincia con il 3 e non si sa dove finisce. Questo è il punto di forza che Giorgia non vuole mollare. E per questo – ecco il primo punto che sbatterà sul tavolo – non vorrà vedere sulle schede simboli di liste Zaia.

Da solo il governatore veneto uscente potrebbe racimolare così tanti voti, anche se non candidato per un terzo mandato, da umiliare tutti gli altri partiti, Lega compresa. E invece FdI vuole rivedere stampate quelle percentuali record prese alle europee in Veneto. Per rafforzare il suo potere. Come? Chiedendo adeguate posizioni nella futura giunta (perché si dà per scontato che in Veneto si vinca), assessori targati FdI nei posti chiavi della Sanità, Infrastrutture e Trasporti e altro ancora.

Terzo e non ultimo, il boccone più grosso: il via libera a un candidato FdI in Lombardia e in Friuli Venezia Giulia quando si arriverà lì. Certo si parla del 2028, ma il regalino fatto a Massimiliano Fedriga di impugnare la legge regionale del Trentino varata dal leghista Maurizio Fugatti, chiude la porta ai terzi mandati anche alle Regioni a statuto speciale. E lo scopo è sotto il naso di tutti. Anche perché, la partita nelle Marche, unica regione governata da FdI, è in bilico: il governatore uscente Acquaroli è testa a testa con il dem Matteo Ricci, eurodeputato ed ex sindaco di Pesaro con migliaia di preferenze.

Tajani punta su Verona e Venezia

Prima di arrivare alla Lega, è bene passare dall’altro protagonista di questa drammaturgia estiva, Antonio Tajani, che non è precisamente un comprimario, avendo lui stoppato ogni velleità di terzo mandato per Zaia, Fontana e Fedriga, certo non per diletto: Forza Italia governa già in Sicilia, Calabria, Basilicata e Piemonte, quattro regioni, ma vuole mettere bocca sulle altre.

Nella tornata di autunno ha poco da pretendere, ma la trattativa si snoderà su un pacchetto più articolato, con possibili innesti di posti di governo, ambizioni su regioni per il futuro (sabato Tajani è volato in Sardegna per dire che la governatrice Todde deve decadere...) e futuri sindaci: FI potrebbe rivendicare le candidature 2026 per i primi cittadini di Verona con Flavio Tosi, e di Venezia.

E poi c’è la Lombardia: sabato 28 giugno a Milano, in una convention forzista con personaggi come Roberto Formigoni, l’ex sindaco Gabriele Albertini, il coordinatore degli azzurri lombardi Alessandro Sorte, ha detto che «la regione correva di più quando governavamo noi». Messaggio chiaro, bollinato da Tajani, che prelude a una pretesa di FI analoga a quella di FdI sul dopo-Fontana.

Quindi ci sarà un ingorgo tale di rivendicazioni tale, che se FdI non riuscisse a spuntarla per uno dei suoi (retto e diretto dal potentato dei La Russa), già si fa il nome di un civico, Ettore Prandini, presidente della Coldiretti, per mettere d’accordo i litiganti. Mentre far gareggiare Maurizio Lupi per la poltrona di sindaco di Milano sarà il contentino per Noi Moderati, quarta gamba della coalizione.

Salvini si blinda in Veneto

E veniamo alla Lega: anche Matteo Salvini a sorpresa si potrà far bello del salto di un punto nei sondaggi di giugno e del sorpasso su Forza Italia. Dopo aver subìto la mannaia sul terzo mandato potrà ben rivendicare la candidatura in Veneto, la sola che gli interessi in questa partita.

Salvo colpi di scena, Meloni dovrebbe concedergliela, il candidato «più digeribile» per gli alleati sarebbe – a detta degli stessi fratelli-coltelli, il giovane segretario della Liga Veneta, Alberto Stefani. Che su input del leader, tanto per dare il là, si è portato avanti e per sabato ha convocato tutti i dirigenti e amministratori sul territorio, per far vedere a tutti le truppe di cui dispone il Carroccio. A cui si sommeranno quelle portate alle urne dal Doge, che comparirà sulle schede nel simbolo della Lega, per fare il pieno di voti.

Certo, sia Salvini sia il suo braccio destro territoriale Stefani dovranno tener conto dei malumori sempre più evidenti della base leghista, che - stanca di promesse non mantenute (autonomia, terzo mandato, pace fiscale...) ora chiede di mollare gli alleati e correre da sola alle regionali venete.

Fatto sta: se il Capitano dovrà davvero rinunciare alla Lombardia e al Fvg si vedrà: dal summit a tre leader FdI uscirà dicendo che toccheranno a loro quelle regioni, i leghisti diranno che non c’è nessun patto scritto e faranno gli gnorri. Il gioco delle parti, come sempre. —

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