Nuova strategia del Ppe, con un obiettivo: strappare Meloni alle destre più estremiste
Weber, il tedesco leader dei moderati europei, tratta e aspetta. Conta sull’appoggio del forzista Antonio Tajani


Con le ricette del riconfermato chef Manfred Weber, il nuovo menu del Partito popolare europeo pone le premesse per un banchetto politico transnazionale al quale Giorgia Meloni potrebbe essere tentata di partecipare senza temere di divenire vittima di intolleranze.
La svolta è cominciata e il vertice di Valencia segnala che la famiglia politica a dodici stelle fondata sui valori cristiani, e da sempre ispirata dalla moderazione, ha trovato un consenso in apparenza solido per spostarsi un passo a destra e farsi più pungente, con l’intenzione consolidare la leadership e tenere a bada le forze sovraniste che negli ultimi anni le hanno strappato elettori e minato la centralità.
La linea dura sui migranti – a cui si vorrebbe comunque rifiutare l’ingresso in un modo o nell’altro – e sulle strategie verdi degli “ecologisti da salotto” serve a pararsi il fianco dai populisti.
«Dove sarebbero oggi la nostra industria e i nostri posti di lavoro, se non avessimo fermato l’ideologia del clima alla Timmermans?», ha attaccato il bavarese che guida il Ppe, con una domanda retorica simile a un’assicurazione sulla vita per una compagine che, dopo aver temuto di essere spazzata via, sogna di crescere e non mollare più le redini dell’Unione.
Prima delle elezioni europee del giugno 2024, gli incursori nazionalisti annunciavano la volontà di sabotare l’Unione e riscriverne la storia. Missione incompiuta, come sapevano bene pure i diretti interessati.
Undici mesi più tardi il Ppe tiene stretto il timone a dodici stelle, forte di 14 esponenti nella Commissione di Ursula von der Leyen, 13 leader nel Consiglio Ue e 188 eurodeputati che garantiscono la prevalenza relativa da playmaker nell’assemblea di Strasburgo: il cuore italiano della famiglia è costituito da Forza Italia, che ieri ha visto Antonio Tajani nuovamente eletto vicepresidente.
Sinora, per assicurare la maggioranza di governo nell’emiciclo, la squadra scudocrociata del Ppe ha formalmente reiterato il classico patto con i Socialisti & Democratici e i Liberali di Renew Europe.
Nella pratica Weber ha però tessuto una serie di collaborazioni à la carte con conservatori e sovranisti. In questo modo, ha posto le basi per un sistema di alleanze variabili di comando e prospettiva. Gli alleati storici non sono felici, ma loro non ci badano.
A Valencia, i popolari hanno sostenuto König Manfred. Il quale ha proposto un’agenda sui migranti che non sarebbe piaciuta a papa Francesco e che, invece, può far battere il cuore di Giorgia Meloni: sì ai centri di rimpatrio e no al principio del non respingimento stabilito dal diritto comunitario.
«I populisti sono forti perché troppi democratici sono deboli», avverte Weber.
È evidente che, come il ragno al centro della sua tela, se ne sta lì a guardare cosa sia meglio fare e quanto sboccerà la rivolta delle correnti animate da chi non vuole derapare, come i popolari polacchi di Tusk, il Donald “buono”.
Un giorno potrebbe anche ragionare sulle nozze coi conservatori per creare un grande movimento europeo di centrodestra, facendo gioco sulla nuova Germania del cancelliere Merz – il più forte e assertivo leader Ppe – e tenendo alla larga gli agitatori, i vari Le Pen e Salvini.
Weber sa che quel tempo può arrivare. Le conseguenze ambigue del Trumpismo, e l’unità in parte ritrovata dall’Ue, possono fiaccare le destre-destre, come si vede in Ungheria dove il sempre fastidioso Orbán perde consensi.
Un “centro” spostato potrebbe diventare dominante se coniugato con la destra più presentabile, scenario in cui la fantapolitica chiama in scena Meloni. Come? Si immagina una rottura con l’euroscettica Lega e una bandiera comune con Forza Italia e altri centristi.
«Rifanno la Dc», suggerisce un osservatore politico che guarda lontano, ma non lontanissimo. «Serve una nuova stagione», assicura Tajani. Weber attende gli italiani al varco con il Green Deal ridimensionato e il dossier con meno migranti, investimenti comuni e Difesa congiunta, pronto a dire «sono Manfred, sono europeo e popolare, vi invito a unirvi a noi».
Presto o tardi, potrebbe accadere.
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