Manovra: conti in ordine, crescita ferma. Senza Pnrr l’Italia sarebbe in recessione
Concluse le audizioni. Bankitalia: «Metà degli sgravi fiscali a vantaggio dei più ricchi». La replica di Giorgetti: «Tuteliamo i redditi medi». Evasione, piaga da 100 miliardi

La manovra non è proprio come la raccontano certi telegiornali. Di sicuro, c’è l’impegno del governo al consolidamento dei conti pubblici, che restano sul cammino concordato con l’Europa: è una esigenza ben compresa dal ministero del Tesoro, determinato a dimostrarsi credibile per contenere il costo di un debito mostruoso e, nonostante tutto, in espansione.
Il resto della legge di Bilancio, così come è ora, appare un insieme di norme tampone, spesso sbriciolate in salsa elettorale, che incidono (anche positivamente) sulla distribuzione del reddito, ma non agiscono in modo strutturale sulla ricchezza degli italiani e, soprattutto, non sostengono adeguatamente i fattori che puntellano una crescita «inferiore alla dinamica dell’Eurozona».
Oltre le parole, senza il Pnrr, l’economia italiana chiuderebbe sia il 2025 che il 2026 in rosso. Ovvero: al netto dei finanziamenti agevolati e dei contributi a fondo perduto dell’Ue, il Bel Paese sarebbe in recessione. Dopo la parata delle categorie, le autorità indipendenti hanno chiuso le audizioni sulla strategia contabile da 19 miliardi del governo Meloni per il 2026.
Banca d’Italia (col Vice Capo del dipartimento Economia, Fabrizio Balassone), Ufficio parlamentare di Bilancio (la presidente Lilia Cavallari) e Corte dei Conti (Mauro Orefice, capo delle Sezioni riunite di controllo) hanno servito a deputati e senatori analisi puntuali dai quali trapela una cauta serenità contabile – piace l’ipotesi di anticipare la discesa al 3 per cento del rapporto deficit/Pil –, fra incertezze ragguardevoli. In sintesi, gli effetti sull’economia si confermano modesti, prevalgono le soluzioni temporanee, si aiutano (stavolta) i redditi meno bassi. La replica di via XX settembre: «Quadro incerto, gestione responsabile».
I conti pubblici
Promossi Giorgetti e i suoi tecnici. Il deficit al 3 per cento c’è già nel 2025, con un anno di anticipo: il 2026 dovrebbe chiudersi al 2,8%. Gli effetti sul costo della gestione del disavanzo non possono che essere positivi e - sebbene manchino dettagli sulla rimodulazione del Pnrr - la manovra porta benefici netti per le famiglie (18,6 miliardi nel triennio 2026 - 2028). Permangono interrogativi sulle coperture, in particolare perché alcune (come il prelievo sulle banche) sono temporanee e potrebbero avere conseguenze spiacevoli sui bilanci a venire. Non convince il taglio lineare non strutturale delle spese ministeriali.
La crescita
La crescita è poca e inferiore al resto di Eurolandia. La manovra, nota Upb, ha persino un effetto recessivo di 0,1 punti per il 2026, recuperabile negli esercizi successivi. Per il 2025 dovrebbe essere acquisito un Pil a più 0,5%, ma è concreta la possibilità di una discesa allo 0,4 per le correzioni tecniche. Il clima di fiducia è piuttosto debole, i servizi sono stazionari, l’industria in frenata. Solo in agricoltura c’è un incremento di valore aggiunto.
Il fisco
La rimodulazione dell’Irpef brucia tre miliardi di gettito, calcola Bankitalia; secondo l’Upb sono 2,7. Entrambi le istituzioni notano che metà sconto va all’8 per cento dei contribuenti, quelli che stanno meglio e percepiscono più di 48 mila euro l’anno.
Per un operaio sono 23 euro ogni dodici mesi; 123 per gli impiegati; 124 per gli autonomi; 55 per i pensionati. Le precedenti manovre erano comunque concentrate sui redditi minori. «Tuteliamo i redditi medi», precisa Giorgetti.
L’evasione
È una piaga da 100 miliardi l’anno che le misure di definizione agevolate come la rottamazione non risultano intaccare. Anzi, hanno la tendenza a giustificare chi se ne sta alla larga dall’Erario. Su questo, fuori dal governo, sono tutti d’accordo.
Le imprese
Nella manovra solo misure transitorie che non danno la carica al motore. «Non appare riflettere un disegno organico», chiosa l’Upb. Il loro valore, stima Bankitalia, è di 2,3 miliardi l’anno nel triennio. Per via Nazionale gli incentivi agli investimenti «sono relativamente contenuti» e «in gran parte sostituiscono o prorogano misure analoghe». Non va bene: «Modifiche frequenti alla normativa possono accrescere l’incertezza e rendere più onerosi gli adempimenti».
Le pensioni
Gli esborsi aumentano (+0,5 miliardi nel 2026); la spesa è compatibile nel complesso con gli obiettivi contabili. Gli interventi, scrive Upb, «non hanno impatto di rilievo sull’adeguatezza delle prestazioni» se misurati lungo il ciclo della vita. Intoccata la Fornero, poche o punto le novità.
La Sanità
Le nuove risorse (2,4 miliardi per il 2026) portano fabbisogno sanitario finanziato al 6,1 per cento del Pil. Denuncia l’Ufficio di Bilancio che non si nota «una indicazione di priorità nell’azione per il consolidamento del Servizio sanitario nazionale».
E gli sforzi per assumere nuovo personale, si sottolinea, «non è scontato siano sufficienti a garantirne il pieno funzionamento». La realtà è inquietante: la spesa sale a fronte di una domanda che cresce con l’invecchiamento della popolazione, e non risponde alle esigenze dei cittadini.
Isee e produttività
Le modifiche di calcolo «introducono elementi di iniquità», spiega Upb. Dice Bankitalia: «Aumentando la franchigia per la prima casa si dà meno peso al vantaggio che, a parità di reddito, ha chi possiede l’abitazione rispetto a chi è in affitto».
Non solo. Secondo Via Nazionale, «il recupero dei redditi familiari, non si persegue solo con interventi fiscali; deve fondarsi su un efficace sistema di contrattazione e, in ultima analisi, sull’aumento della produttività». Già, la produttività. Qualcuno si occupa della fine che ha fatto?
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