La Russa: «Strano se la guida di Lombardia e Friuli Venezia Giulia non toccasse a Fratelli d’Italia»

L’intervista al presidente del Senato: «Con il 30% ci spetta una Regione del Nord». E sulla Giustizia: «Al referendum vincerà il sì e, in ogni caso, il governo non rischia». «Zaia? E’ una risorsa, lo vedrei nel Governo»

Carlo BertiniCarlo Bertini
Il presidente del Senato Ignazio La Russa
Il presidente del Senato Ignazio La Russa

La chiarezza non fa difetto al presidente del Senato Ignazio La Russa che, da politico navigato, sa lanciare messaggi senza toni contundenti, ma limpidi e perfettamente decrittabili da tutti: come ricordare che sarebbe «strano» se un partito col 30% non potesse esprimere la presidenza di una Regione del Nord, leggi la Lombardia e Fvg; facendo notare che la Lega non avrebbe potuto alzare la bandiera dell’Autonomia senza la sponda di Fratelli d’Italia; e pure la “chiamata” alle opposizioni sulla riforma del premierato, che non va considerata blindata, è un chiaro segnale ai naviganti.

Ma cominciamo dall’Autonomia, presidente. Sembra al palo, ma Calderoli e Zaia vorrebbero approvare le pre-intese sulle materie non Lep tra Veneto e Stato prima del voto del 23 novembre. Che ne pensa?

«Con le imminenti elezioni, qualcuno forse preme e altri forse no. Non so dirlo, ma certo è che l’autonomia ha camminato molto solo da quando c’è Meloni al governo. Certo non con il governo Salvini-Conte. Prima era ferma e dunque non si può attribuire una volontà di rallentamento a Fratelli d’Italia. Semmai il contrario».

«Il premierato? Il testo in esame non è blindato, siamo pronti al confronto

A proposito di Zaia, una risorsa come l’ex governatore deve rimanere in stand by o andrebbe valorizzata?

«Zaia è una risorsa per la politica italiana: se dipendesse da me, porte aperte. Ma una cosa è il mio pensiero, altra cosa è la sua collocazione, che risponderebbe a esigenze diverse. Non vedo alcun motivo per cui gli alleati della Lega possano frapporre alcun ostacolo a un upgrade di Zaia. Anche al governo, ma questo dipenderebbe da Giorgia Meloni».

La premier rischia il posto con il referendum sulla Giustizia? Il 60 per cento degli italiani ancora non ha capito di cosa si tratta e la metà voterà no, secondo i primi sondaggi...

«Non rischierà, innanzitutto perché la riforma sui giudici sarà confermata dai cittadini e poi perché in ogni caso non avrà alcuna ripercussione sulla vita del governo. Comunque, tutti i sondaggi sono per il sì».

Non concorda con Renzi che, se il governo perdesse il referendum, allora Meloni dovrebbe dimettersi?

«In verità, era lui che diceva che avrebbe lasciato la politica se avesse perso il referendum costituzionale e non lo ha fatto. Fa sorridere che lui che l’ha detto non si è dimesso e invece Meloni, che al contrario sta dicendo che questo non è un referendum politico, dovrebbe mollare se lo perdesse».

«Lega non in linea sulla politica estera ma ciò non mina la credibilità del nostro Paese»

Ma nel campo opposto, Schlein dovrebbe dimettersi da leader Pd in caso di sconfitta?

«Dipende da come conducono la campagna elettorale. Per noi che non politicizziamo il referendum, una sconfitta – a oggi impensabile - non è un rischio, per chi lo politicizza invece sì. Ma non dipende da me».

Schlein - sostiene il ministro Nordio - dovrebbe capire che la riforma gioverebbe anche a loro se andassero al governo. Significa che il prossimo step sarà mettere i pm sotto il potere politico?

«No, al contrario. Vuol dire che una ripartizione chiara dei poteri serve a chiunque governi. Ed è escluso che vi sia un progetto di mettere i pm sotto l’ala del governo. Una cosa che, se venisse proposta da qualcuno, io la combatterei con forza e così farebbe anche Meloni».

L’altra riforma chiave, il premierato, è in stand by. Uno dei punti deboli è che, in caso di sfiducia parlamentare del premier eletto dal popolo, se ne dovrebbe nominare un altro della sua maggioranza, ma non eletto dai cittadini. Una stortura che smonta la riforma alla radice?

«Quella è una norma di chiusura e di scuola per i casi limite, che non si verificheranno mai. E comunque la partita del premierato non è chiusa. Credo che si possano immaginare dei miglioramenti. Da presidente del Senato non vedo perché considerarla blindata. E anche con modifiche, ci sarebbero i tempi per approvarla a fine legislatura».

Se non si riuscisse ad approvare, cambierà la legge elettorale: lei è favorevole a inserire il nome del candidato premier delle coalizioni sulla scheda?

«Non ho affrontato questo tema. Perché penso che il sistema di voto andrebbe cambiato una volta approvato il premierato. Se arrivassimo a ridosso delle elezioni senza averlo approvato, non so neanche se si cambierebbe la legge elettorale, oppure no: e quindi sarebbe prematuro dire come».

Ma è noto che Forza Italia sarebbe contraria al nome di Meloni sulla scheda e così anche Salvini. O no?

«Il primo a dover essere contrario dovrebbe essere il partito di Giorgia, perché, se ci fosse il suo nome sulla scheda fuori dai simboli dei partiti, chi vota Fdi, una volta messa la croce sul nome di Meloni, spesso non vedrebbe il motivo per rimetterlo una seconda volta sul nostro simbolo. Quindi non sarebbe sicuramente un vantaggio per Fratelli d’Italia. In nessun caso sarà mai obbligatorio che nei simboli dei partiti venga infilato il nome del candidato premier. Ogni partito si regolerebbe come ritiene».

Il Veneto alla Lega comporta la Lombardia a FdI e forse anche il Friuli Venezia Giulia?

«Non lo comporta obbligatoriamente, ma neanche il contrario. Il fatto che FdI sia il primo partito in Veneto non gli ha garantito la presidenza, ma è strano che un partito al 30 per cento guidi solo due regioni, Abruzzo e Marche. Non c’è automatismo dunque, ma nemmeno il contrario: in Veneto c’è un uomo di partito della Lega, in Fvg e Lombardia idem, in Piemonte governa Forza Italia. E Fdi?».

A livello nazionale il governo è stabile perché FdI ha il triplo dei voti di Lega e FI. Se vi fosse una sostanziale parità di voti nelle liste in Veneto tra voi e la Lega, un derby tra i due partiti con relative lotte di potere per le poltrone, produrrebbe instabilità?

«Non è che la composizione delle giunte regionali deve corrispondere matematicamente agli equilibri dei voti di lista: guardate il caso della Sicilia. Non immaginerei conseguenze di questo tipo. Il dato è che in Veneto partiamo con un candidato della Lega e con Zaia. Il risultato andrà letto alla luce di questo dato veneto e non certo per assegnare meccanicamente i ruoli».

Un’ultima cosa: il silenzio di Salvini sugli attacchi di Zacharova, e più in generale la presenza in maggioranza di una forza che ha una linea opposta di Meloni sull’Italia a fianco di Europa e Ucraina, non indebolisce la credibilità del Paese?

«In realtà no. Perché non c’è nessuna votazione ufficiale o provvedimento del governo che non sia stato preso all’unanimità. La Lega ha sensibilità difformi in politica estera, ma si è sempre trovata una linea unitaria nelle decisioni e questa è la forza del centrodestra: il dato politico è che non ho mai visto la Lega opporsi agli aiuti all’Ucraina per resistere ad un’invasione con la forza e contro ogni diritto internazionale operata dalla Russia .

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