Piantedosi: «Le Zone rosse sono garanzia di legalità e valorizzano i quartieri»
Intervista al ministro dell’Interno: «Il provvedimento è una risposta alle esigenze dei cittadini e chi parla di perdita di valore di mercato sbaglia: i presìdi di polizia rendono quei rioni più frequentabili e più attrattivi»


Ben piantato sul binario di ordine e sicurezza che gli indica la rotta da quando era prefetto a Bologna (con le ben note rimostranze dei sindaci di sinistra), Matteo Piantedosi ci tiene a figurare come il fautore della moltiplicazione di uomini e mezzi nelle strade delle nostre città. Per questo il ministro degli Interni sostiene senza remore le zone rosse, che «attivano un controllo più capillare del territorio». E per smentire la nomea che gli hanno appiccicato addosso, il titolare del Viminale difende il provvedimento che ha scatenato le opposizioni in Parlamento in una seduta fiume notturna: «Il decreto Sicurezza non comporta alcuna repressione del dissenso, con il nostro governo la libertà di manifestare si è rafforzata: di questo decreto devono aver paura solo i delinquenti».
Intanto ci può fare un primo bilancio della Direttiva di dicembre che ha istituito le zone rosse nelle città?
«Da quando l’ho emanata, ci sono stati 600 mila identificazioni e cinquemila allontanamenti, che hanno portato a numerosi arresti e rimpatri. Sono numeri importanti che testimoniano il valore positivo dell’iniziativa, peraltro molto apprezzata dai cittadini. Personalmente ne ero certo poiché, nel formulare il provvedimento, avevo tenuto conto della positiva esperienza che avevo vissuto come prefetto di Bologna».
E la zona rossa, altrimenti detta dai suoi detrattori “recinto urbano”, è una risposta adatta al senso di sicurezza che chiedono i cittadini?
«È una delle risposte adatte. Con l’istituzione di zone rosse si aumentano la presenza e l’incidenza delle forze di polizia, una misura dunque positiva che ovviamente non rimane da sola. L’innalzamento dei livelli di sicurezza, infatti, si può ottenere soltanto grazie al concorso di una pluralità di azioni, che riguardano anche aspetti sociali, educativi, economici, infrastrutturali. Solo in questo modo si può incidere in maniera risolutiva nelle situazioni di degrado urbano che sono precondizione di fenomeni criminali».
E su questi altri fronti che state facendo?
«Anche su questo il governo si è mosso: dopo un anno di sperimentazione del cosiddetto “modello Caivano” abbiamo approvato una legge che ripropone questo approccio integrato in tanti altri contesti analoghi presenti su tutto il territorio nazionale. Rafforzeremo i controlli di polizia e nel contempo daremo risorse per superare degrado urbano e sociale».
Dai focus sul territorio emerge che alle persone basterebbe avere un controllo più capillare delle forze di polizia. Sbagliano?
«Ma è proprio con l’istituzione di una zona rossa che si attiva un controllo più capillare del territorio, con identificazioni e allontanamenti dei soggetti a rischio. Il controllo capillare tanto auspicato viene finalizzato e reso più incisivo. In questo senso, abbiamo riscontrato un diffuso e trasversale apprezzamento da parte dei cittadini».
Gli abitanti di queste zone rosse muovono una critica ricorrente: ad esempio, un quartiere di Padova come l’Arcella non gradisce vedersi affibbiato lo stigma di pericolosità, che comporta riflessi negativi. Come ridurre i contraccolpi sull’economia locale di case deprezzate, negozi meno frequentati, e via dicendo?
«Al contrario. Intensificare i controlli e la presenza delle forze di polizia consente di aumentare il livello di sicurezza di un’area urbana, rendendola più frequentabile e più attrattiva. Ho trovato singolare affermazioni di segno contrario, come quelle che paventano addirittura una perdita di valore immobiliare delle zone maggiormente controllate dalle forze di polizia. Avere una pattuglia in più in giro per il quartiere rappresenta un elemento positivo e non certamente negativo. Proprio per questo abbiamo aumentato gli organici delle forze dell’ordine».
Ma sarà possibile adattare questa misura alle aspettative di chi vorrebbe più sicurezza senza sentirsi ghettizzato?
«La ghettizzazione avviene quando si verifica l’assenza di iniziative dello Stato. La presenza delle forze di Polizia è stata sempre molto ambita sotto ogni latitudine e chi sostiene il contrario lo fa solo per un pregiudizio ideologico che non trova corrispondenza nelle aspirazioni dei cittadini. C’è chi vorrebbe attenuare la presenza dello Stato invece di rafforzarla. Sono le posizioni di chi guarda con ostilità alle forze di polizia. Noi pensiamo esattamente l’opposto. Più polizia c’è sul territorio e meglio è».
E c’è una stima di quanto dureranno queste “recinzioni di sicurezza”?
«Decideranno le autorità provinciali sulla base delle esigenze rilevate. Non si tratta di interventi di stampo ideologico o propagandistico. Pertanto si va avanti dove serve finché serve. È bene ricordare che le aree sono state individuate in base ad episodi e fenomeni verificatisi nel corso del tempo».
Alcuni amministratori di centrodestra lamentano pure che a monte servirebbe maggior certezza delle punizioni per i microreati, per i quali spesso non si finisce in carcere. State pensando a qualcosa in merito?
«Il governo è già intervenuto più volte con norme immaginate proprio per contrastare più efficacemente i fenomeni criminali sui quali c’è maggior sensibilità».
Più in generale, si può fare un primo bilancio, dopo un mese di applicazione, del decreto sicurezza convertito dalla Camera?
«Le norme sono state finalizzate, tra l’altro, a contrastare fenomeni particolarmente gravi e odiosi, come le truffe agli anziani e le occupazioni abusive di immobili, in special modo a tutela delle persone più vulnerabili. Abbiamo introdotto poi misure contro i fenomeni di radicalizzazione che preludono al terrorismo. Le prime applicazioni di queste misure, avvenute dall’entrata in vigore del decreto, ci confortano sulla strada intrapresa».
Le opposizioni lo hanno ribattezzato “decreto Paura”, contestano misure così repressive, chiedono che urgenza vi fosse. C'era bisogno di questa stretta in un Paese considerato tutto sommato sicuro?
«Le norme approvate sono state ampiamente discusse dal Parlamento, che ha avuto modo di integrare e modificare il testo che è stato poi definitivamente portato all’approvazione. Solo i delinquenti debbono avere paura di una legge che si ripromette di rafforzare la sicurezza dei cittadini».
Con questa norma si restringe la libertà di manifestare il dissenso?
«Assolutamente no. Con il nostro governo, in Italia la libertà di manifestazione del pensiero si è ulteriormente rafforzata, come dimostrano i numeri che fanno registrare un aumento crescente delle manifestazioni. A fronte di questo, è aumentato anche il numero dei feriti tra le forze di polizia proprio in occasione di queste manifestazioni. Sono dati che parlano da sé, a meno che per “libertà di manifestazione del pensiero” non si intenda l’arbitraria possibilità di aggredire a piacimento le forze di polizia, sfasciare vetrine, devastare ciò che si trova durante il percorso».
E come risponde ai rilievi di magistrati e avvocati?
«Sono rilievi ai quali si potrebbe opporre il parere di giuristi ed esperti altrettanto numerosi e importanti. La rilevanza della sottoscrizione di un appello dovrebbe sempre tener conto di quante persone non aderiscono a quello stesso appello».
A proposito di rilievi, come valuta lo stop del Consiglio di Stato al rinvio del voto in Veneto al 2026 che lei invece giudicava una possibilità realistica in quanto la decisione spetta alle regioni?
«Vi era un legittimo dubbio se applicare una più specifica norma regionale, oppure una più generale normativa statale. Succede spesso e non solo nella materia elettorale. È stato un bene rivolgersi al Consiglio di Stato, che ha ritenuto di esprimersi per la seconda ipotesi, chiudendo l’argomento».
Un’ultima domanda: lei che è custode del regolare svolgimento di ogni tornata elettorale, se la sente di aderire all'invito all'astensione dai referendum fatto dai suoi colleghi di governo?
«Il ministro dell’Interno non fa inviti di questo tipo. Mi permetto tuttavia di rilevare che la Costituzione consente al cittadino elettore di votare o di astenersi, una scelta quest’ultima che dunque va rispettata. Gli stessi che sollevano critiche contro le leggi asseritamente liberticide allo stesso tempo non vorrebbero consentire ad altri di esercitare una libera prerogativa prevista dalla Costituzione. Mi sembra una evidente contraddizione».
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