Fine vita, Bongiorno anticipa la proposta del centrodestra: «Nella legge comitato etico e cure palliative»

La senatrice leghista assicura che l’intesa è stata raggiunta. Il testo condiviso sarà presentato il 17 luglio in Parlamento

Cristian Rigo
Giulia Bongiorno, presidente della Commissione Giustizia del Senato
Giulia Bongiorno, presidente della Commissione Giustizia del Senato

Il testo sul fine vita ancora non si è visto, ma l’avvocato Giulia Bongiorno assicura che «l’intesa è stata raggiunta». Per scoprire nel dettaglio quali saranno i contenuti sui quali il centrodestra avrebbe raggiunto una mediazione, frutto dei «grossi passi avanti» compiuti dal Comitato ristretto delle due Commissioni, Affari Sociali e Giustizia bisognerà attendere il 17 luglio. Quando, assicura la presidente della Commissione Giustizia del Senato e responsabile Giustizia della Lega, «la proposta verrà illustrata in Parlamento».

Il comitato etico

Insomma, per Bongiorno, ci sono ancora da limare alcuni aspetti, ma i punti principali della proposta sono stati messi a fuoco. «Crediamo sia assolutamente importante mettere al centro di tutto un aiuto alle persone che versano in queste situazioni drammatiche e quindi focalizzeremo l’attenzione sulle cure palliative che devono essere effettive e non restare sulla carta. Ma - sottolinea - il punto da cui deve partire la norma è il comitato etico che per noi è centrale. Il comitato aiuta a capire cosa si può fare e come. Non è una norma che parte dal “tu hai il diritto di fare questo...”, ma parte da questo comitato. Da chi sarà composto il Comitato etico? Deve essere di altissimo profilo». Di più Bongiorno non dice.

Il nodo Ssn

Con il comitato etico nazionale si vuole anche scongiurare il turismo del fine vita, fuori dal Servizio sanitario nazionale. Ma, ragiona il presidente della commissione Affari sociali Francesco Zaffini, «la sanità cura la vita e non può garantire queste prestazioni come Lea, a carico della fiscalità generale» mentre Mariastella Gelmini di Noi Moderati sottolinea che «il Ssn deve essere vocato alla vita e alla cura».

Da qui l’idea di tenere il comitato all’esterno del Ssn. «Ma così - osservano i Cinque stelle - si creerebbe un’insopportabile discriminazione, potrà accedere alla morte dignitosa solo chi avrà le capacità economiche per farlo».

Ancora più critico il senatore Alfredo Bazoli, capogruppo del Pd nella Commissione Giustizia: «Noi abbiamo messo una serie di paletti insuperabili. Per prima cosa la supervisione e il controllo sul fine vita deve spettare al Servizio sanitario nazionale, non può esserci la privatizzazione delle procedure e quindi la presenza del mercato. In secondo luogo non ci piace il comitato etico nazionale, serve semmai un comitato clinico diffuso, lo Stato - sostiene - non può trasformarsi nel censore e nel decisore dei destini dei singoli individui. In ultimo, le cure palliative devono essere messe a disposizione, ma non possono diventare un trattamento sanitario obbligatorio».

Bongiorno non chiarisce su quale strada sia indirizzata la maggioranza, ma assicura che «adesso stiamo ascoltando ovviamente anche l’opposizione alla quale però ho rivolto un invito: devono capire che si deve partire da un principio e cioè che si tratta di una materia delicatissima».

La 55enne fiorentina

La Consulta ha dichiarato «non manifestamente infondata» la richiesta di una 55enne paraplegica fiorentina, che ha ottenuto l’accesso al suicidio medicalmente assistito stabilito dalla Corte costituzionale nella sentenza numero 242/2019, ma non può se non attraverso qualcuno che possa somministrarle il farmaco ritenuto idoneo dall’Asl. A farlo dovrebbe essere il suo medico di fiducia. La richiesta sarà discussa l’8 luglio.

Bongiorno spiega che «non esiste un testo che non tenga conto della Corte Costituzionale. È vero che l’8 luglio è attesa una sentenza importante della Corte in materia ma il legislatore va avanti. Pur tenendo conto di queste pronunce».

Emilia Romagna e Toscana

In attesa di un intervento del Parlamento, Emilia Romagna e Toscana si sono mosse autonomamente: in Emilia è stata scelta la via amministrativa con una delibera di giunta poi tradotta con una delibera del dirigente mentre in Toscana è stata approvata una legge. Nel primo caso il Governo ha ricorso al Tar nel secondo ha impugnato la norma davanti alla Corte costituzionale. 

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