Fedriga: «Futuro da sindaco o in Parlamento? Presto per decidere, non escludo nulla»

Il bilancio del governatore: «Scelte finanziarie forti stanno attraendo investitori. Le riforme sulla sanità produrranno risultati: non inseguiamo i comitati»

Christian Seu
Il governatore Massimiliano Fedriga
Il governatore Massimiliano Fedriga

Presidente Fedriga, il 2025 che va in archivio si era aperto con i mal di pancia interni alla maggioranza che la sostiene, sfociati nella “crisetta” di primavera e nel patto di legislatura sancito dal voto di fiducia di luglio. Divergenze definitivamente appianate?

«Quel chiarimento ha rafforzato la maggioranza: lo vedo nella quotidianità, dove stiamo dimostrando una rinnovata capacità di camminare insieme. Abbiamo rafforzato i confronti preliminari: spesso investire del tempo per spiegare meglio le scelte aiuta a sciogliere dubbi. L’azione di governo è rimasta coerente, ma abbiamo coinvolto di più tutti e c’è stata una risposta forte da parte della giunta e degli stessi consiglieri di maggioranza».

Uno dei motivi di frizione, inutile girarci intorno, è rappresentato dalle sensibilità opposte tra Lega e FdI sul terzo mandato. È convinto che ci siano ancora margini per rimuovere il vincolo?

«A decidere, eventualmente, sarà il Parlamento, come ha chiarito la Consulta. I margini tecnici ci sono, bisogna capire se c’è volontà. Io dico: lontano dalle scadenze elettorali si può ragionare in modo più sereno. Il terzo mandato non è “una carica continua”, è la possibilità di rimettersi al giudizio degli elettori: se hai governato bene ti confermano, se hai governato male ti mandano a casa. Con l’elezione diretta il limite dovrebbe essere scelto dai cittadini, non da una legge che impedisce loro di scegliere. Che poi, l’eventuale via libera al terzo mandato non significherebbe automaticamente una mia ricandidatura: eventualmente deciderei nel 2028 se ripresentarmi».

«Nel 2026 torneranno le Province e si chiameranno così. Al voto tra un anno a meno di non riuscire ad anticipare i tempi»

Voci di corridoio: Fedriga candidato alla Camera o al Senato alle Politiche del 2027 e legislatura regionale al capolinea con un anno d’anticipo. Dipiazza, invece, la vedrebbe bene come sindaco di Trieste. Fantapolitica?

«In politica ho imparato a non escludere nulla. Non volevo fare il governatore nel 2018 e invece ritengo questa la più bella delle esperienze che potessi intraprendere. Se oggi mi si chiedesse cosa vorrei fare in futuro risponderei che mi piacerebbe continuare a fare il governatore per completare il lavoro avviato, ma non escludo né ruoli nazionali né locali. Io sindaco a Trieste? Ringrazio Dipiazza per la stima, ma ribadisco: faremo delle valutazioni a tempo debito, assieme alla coalizione».

Il patto del sushi è servito a lanciare un segnale sul ruolo del Nord: è ancora in piedi nella Lega l’idea del modello tedesco della Cdu-Csu?

«Esiste già un responsabile per il Sud: prevederne uno per il Nord è una strada praticabile, da condividere col segretario Salvini. Qualcuno contrappone questa ipotesi al segretario ma è una visione totalmente lontana dalla realtà. Matteo è un segretario condiviso e voluto da tutti».

È un ruolo a cui può ambire Zaia?

«Luca è una risorsa da valorizzare nella Lega e fuori. Nella gestione della cosa pubblica ha dimostrato tutto il suo valore, sottolineato anche dal grandissimo risultato ottenuto alle ultime Regionali».

Nel 2026 tornano le Province: a che punto siete e che modello immaginate?

«Attendiamo il voto finale del Parlamento, poi normeremo. L’idea è quella di proporre un modello simile a quello che abbiamo lasciato: elezione diretta del presidente e collegi uninominali, che rendono il voto più semplice e consapevole. L’obiettivo è votare nel 2027, a meno di non riuscire ad anticipare i tempi. E si chiameranno Province: abbiamo bisogno di far capire da subito al cittadino di cosa si tratta».

«L’Ovovia a Trieste? Una soluzione andrà trovata per forza. Dobbiamo raccontare meglio la forza del territorio di Udine»

Elezioni con in pista la Lista Fedriga?

«È nata per le Regionali e resterà focalizzata sulle Regionali. Ha intercettato consenso più ampio rispetto a quello ottenuto dal centrodestra alle Politiche: l’elettorato ha capito la ratio, ovvero la volontà di una proposta politica “post ideologica” legata alla buona amministrazione del territorio».

Il 2025 è stato anche l’anno della travagliata designazione del nuovo vertice dell’Autorità portuale di Trieste.

«La nomina di Consalvo è stata una scelta manageriale, non di partito, condivisa anche col ministro Salvini. Il porto è un asset strategico nazionale: viviamo sfide globali (Suez insegna) ma anche opportunità come l’asse Imec e il collegamento tra Sud dell’Asia ed Europa: Trieste può essere centrale, spingendosi anche oltre l’India, allungandosi fino a Singapore».

Cosa pensa della riforma dei porti? Rischia di essere centralizzato il sistema?

«La riforma non vuole centralizzare: anzi, bisogna garantire l’autonomia dei porti. L’obiettivo è creare un coordinamento che possa promuovere il sistema portuale italiano a livello internazionale. Significa valorizzare le specificità dei singoli porti, che sono differenti da scalo a scalo».

Chi sostituirà Consalvo al Trieste Airport?

«La nomina spetta a F2i, con cui i rapporti sono ottimi: ho chiesto di guardare a una professionalità manageriale in grado di far fronte a un contesto europeo complicato, con la carenza di velivoli che ha colpito molte compagnie senza risparmiare Ita, costretta a tenere a terra il 25% degli aerei. Il nostro obiettivo è essere ancora più attrattivi e aumentare ancora il numero di collegamenti».

A Trieste il dibattito è monopolizzato dal progetto dell’Ovovia: da presidente della Regione e da triestino, come si pone?

«Siamo coinvolti sul piano tecnico come Regione, chiamati a fornire i pareri tecnici. Ho parlato più volte col sindaco Dipiazza: il nodo è garantire l’accesso a Porto Vecchio quando sarà completata la riqualificazione, con la previsione di 20 mila passaggi al giorno. Se l’Ovovia non si farà, andranno trovate necessariamente delle alternative, non si può far passare tutti da Barcola. Il supporto della Regione non mancherà».

A proposito dei rapporti con i Comuni: come sono quelli con Udine, governata dal centrosinistra?

«Con il Comune i rapporti istituzionali sono ottimi, pur con posizioni politiche che sono diverse. Udine è il fulcro del Friuli e il Friuli è un centro industriale fondamentale: non condivido l’idea di chi vede un territorio debole, schiacciato tra Trieste e Pordenone. Dobbiamo raccontare meglio la forza del territorio friulano e delle sue imprese, evitando narrazioni che per convenienza politica finiscono per danneggiare il Friuli».

A Roma il varo della Legge di stabilità è arrivato quasi sul gong di San Silvestro. In Friuli Venezia Giulia avete ottenuto il via libera del Consiglio ampiamente in anticipo rispetto ai termini, chiudendo una maxi-manovra da 6,5 miliardi: che impostazione avete seguito?

«La solidità finanziaria ci consente scelte strutturali, fuori dalla logica dei bonus “spot” una tantum, che non danno certezze e possono creare distorsioni anche dal punto di vista del mercato. Il Superbonus è un esempio: ha fatto crescere i costi senza favorire davvero famiglie ed economia. Ho chiesto alla maggioranza misure di ampio respiro, che abbiano una loro continuità».

Il pacchetto natalità vale 139 milioni: basta per l’emergenza demografica?

«Il problema non è solo economico. Il contesto sociale è cambiato: si diventa genitori più tardi e spesso senza il supporto della famiglia allargata. Una comunità che non fa figli è destinata a morire: questa può essere la grande sfida da porci come Europa. Per questo abbiamo potenziato gli aiuti alle mamme under 30: i dati dicono chiaramente che ritardare la genitorialità riduce la possibilità di avere più figli».

Legato al tema demografico c’è quello occupazionale: le aziende faticano a trovare addetti, i giovani scelgono di espatriare. La Regione, che ha potestà in tema di formazione e lavoro, che contromisure può adottare?

«Per l’alta e altissima formazione le realtà d’Oltreoceano restano fortemente attrattive, grazie a modelli di business, capitali e crescita professionale che spesso sono superiori. Noi dobbiamo puntare non solo a “trattenere”, ma anche attrarre giovani da altre realtà. Abbiamo previsto una legge per l’attrazione dei cervelli e possiamo offrire welfare e condizioni favorevoli. C’è poi il problema delle difficoltà delle aziende: mancano professionalità fondamentali, che non possiamo pensare tuttavia di recuperare unicamente con residenti. Vogliamo essere attrattivi anche per l’estero, con percorsi formativi in Paesi “target”, insegnando anche l’italiano. Guardiamo con attenzione al Sud America, in particolare all’Argentina e al Brasile: chi resta lì potrà usare le competenze, chi vuole venire sarà accompagnato con incentivi e un welfare iniziale, in accordo con le imprese, tenendo insieme esigenze economiche e sociali».

L’anno si era aperto con le frizioni sul Piano oncologico regionale, sulla privatizzazione dei servizi e sulla ridistribuzione dei reparti. La sensazione è che la riforma del sistema sanitario, dopo un avvio tortuoso, abbia imboccato il rettilineo.

«Con la stessa dotazione di risorse destinate alla sanità, nettamente aumentate, si poteva lasciare tutto com’era, invece abbiamo scelto cambiamenti difficili: i benefici si vedono nel medio-lungo periodo, mentre le proteste arrivano subito. I primi risultati, ad esempio sulle liste d’attesa, non sono casuali. Ci sono una serie di azioni che stiamo portando avanti con serietà e che sono convinto premieranno nel lungo periodo: dobbiamo raccontarlo efficacemente ai cittadini, appellandoci al fatto che non inseguano l’ultimo dei comitati, che semplicemente vuole tenere esattamente tutto così com’è».

Il 2025 è stato anche l’anno del massiccio investimento per la promozione turistica. È un capitolo di spesa che intendete rimpinguare?

«Sì: il prossimo anno faremo una campagna straordinaria, che non posso ancora svelare: anticipo però che ci sarà una nuova immagine coordinata, che a me entusiasma. Vogliamo attrarre investitori e migliorare la ricettività, con incentivi per strutture di qualità, da 4 stelle in su, investimenti pubblici su progetti strategici. Tra qualche mese partirà un fondo con Cassa Depositi e Prestiti per la ristrutturazione degli immobili tramite una Sgr».

Il 2026 sarà anche l’anno dell’ideale staffetta tra le capitali della cultura: dall’europea Gorizia (e Nova Gorica) 2025 alla capitale italiana del 2027 a Pordenone.

«Go! 2025 è andata molto bene: i dati mostrano una forte crescita del turismo nel capoluogo isontino, la realtà che più è cresciuta percentualmente nell’anno che si conclude. Replicheremo l’impostazione di Gorizia con “Pordenone and Friends”, contenitore che abbiamo già finanziato con 12 milioni di euro. A Gorizia abbiamo chiuso l’anno della capitale europea con la Digital Art Gallery: stiamo registrando 6 mila accessi al giorno, è la struttura artistica con più pubblico in questo momento. E stiamo lavorando per realizzare a Gorizia il primo grande festival europeo dell’arte digitale».

Quale sarà la parola chiave per il 2026?

«Continuità. Le misure estemporanee pagano poco: l’affidabilità, per cittadini e investitori, nasce da scelte strutturali e confermate anno dopo anno. È ciò che sta premiando anche nell’attrazione di investimenti esteri». 

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