Donazzan all’attacco dei vertici veneti di FdI: «Pensavano che bastasse Giorgia, la delusione è colpa loro»
L’eurodeputata ed ex assessora regionale: «Siamo cresciuti rispetto al 2020, ma i veneti avevano altre aspettative. Non è stato fatto abbastanza in campagna, ora serve una seria analisi. Ci sono responsabilità»

«Un elettore padovano un giorno mi disse che i numeri, se debitamente torturati, confessano qualsiasi cosa». Elena Donazzan, eurodeputata di FdI ed ex assessora regionale, il giorno dopo ha qualche sassolino nella scarpa. «Sassolini? Una montagna...». Trattiene le parole, le pesa una a una, ma non ci gira intorno: «La verità è che il risultato di Fratelli d’Italia in Veneto è nettamente sotto le aspettative e le responsabilità devono emergere».
Donazzan, com’è andata?
«Siamo cresciuti rispetto alle scorse regionali e saremo più numerosi in consiglio e in giunta. Ma la delusione è forte: alle politiche eravamo al 32% e alle europee sfioravamo il 38».
Lei aveva previsto un calo al 18%?
«Una campagna elettorale si prepara almeno un anno prima e bisogna saper raccontare ciò che si è realizzato. Davvero noi abbiamo fatto tutto il possibile per spiegare ai veneti i risultati del governo Meloni?».
È una domanda retorica.
«Non lo abbiamo fatto. È stata una campagna di un mese, e vissuta come una competizione interna, senza la volontà di andare a cercare voti oltre la nostra cerchia. Siamo un partito che si sta strutturando sui territori, ma non lo è ancora abbastanza. Qualcuno diceva: “Porteremo qui Giorgia e vedrete”. Lo trovo un messaggio pericoloso per la stessa premier, perché significa scaricare tutto su di lei. E non è giusto».
Perché?
«Meloni è la nostra forza, ma parlare solo di lei è un alibi. Una classe dirigente seria deve assumersi le proprie responsabilità».
Qual è la principale responsabilità?
«I cittadini ci hanno dato fiducia alle scorse tornate elettorali, creando aspettative. Noi li abbiamo delusi. E i veneti sono diversi dagli altri, il venetismo è un sentimento che esiste».
Si aspettavano un vostro candidato presidente?
«Certamente, i nostri elettori e anche i leghisti. E sono convinta che, con un candidato presidente di FdI, oggi saremmo il primo partito».
E invece siete stati «generosi», come dice Luca De Carlo.
«Io non sono generosa, semmai leale. E quella scelta ora la paghiamo».
Che però è stata di Meloni, in ultima istanza.
«Ma noi, come partito regionale, abbiamo portato argomentazioni sufficienti? La responsabilità è nostra: siamo stati divisi, privi di coesione, incapaci di convincere il partito dell’importanza di quella scelta. Peraltro manteniamo anche un vizio storico di Alleanza Nazionale».
Quale?
«Quello per cui al Nord possiamo fare solo i vice. Un complesso di sudditanza verso la questione settentrionale».
A proposito, una certa freddezza del suo partito sull’Autonomia differenziata crede che possa aver inciso?
«Siamo tutti favorevoli all’Autonomia. Il primo governo a incardinare la riforma è stato proprio quello di Meloni».
Tra le conseguenze di questo risultato c’è anche la riapertura della partita sulla Lombardia?
«Il punto non è chi decide i candidati, la questione è molto più ampia».
Ma in vista delle prossime amministrative, il potere contrattuale di FdI è molto ridotto.
«Se non si preparano le elezioni, se non si costruiscono leadership e non si apre la classe dirigente, finisce male».
Il nome di Luca Zaia come candidato a Venezia torna a essere un’ipotesi concreta?
«Il nome di Zaia è sempre stato il convitato di pietra di molte discussioni. E penso che la cattiva gestione del tema del terzo mandato, che ha fatto credere ai veneti che Zaia fosse maltrattato, abbia prodotto un effetto boomerang».
Crede che il risultato delle elezioni avrà ripercussioni sulla composizione della futura giunta regionale?
«Per come lo conosco, Alberto Stefani non è uno che si rimangia la parola. E ha già confermato che manterrà l’impegno».
Lei non ha mai nascosto di sognare la presidenza della Regione, ma il suo nome è stato davvero sul tavolo?
«Era nei sondaggi e sulla bocca di molti. Ma non sono stata coinvolta in alcuna scelta, e lo dico con un po’ di rammarico. Ho comunque corso pancia a terra per il partito e per i candidati, mettendoci nome ed entusiasmo, ma se avessi potuto avrei gestito molte cose in modo diverso».
C’è stato un deficit di ascolto verso territori e amministratori?
«Serviva molto più coinvolgimento, più partecipazione. La responsabilità è solo nostra, che non siamo stati coesi».
I candidati da lei sostenuti però hanno avuto buoni risultati...
«Sono stati quasi tutti eletti».
FdI ha un problema di classe dirigente?
«No. La classe dirigente c’è, potenzialmente, ma va coinvolta e va aperto il confronto. Il partito deve avere una mentalità da governo, non da opposizione. Soprattutto qui, perché i veneti sono pragmatici e non ideologici».
Pensa quindi che il partito non sia abbastanza maturo?
«Non è questo il punto. Non abbiamo avuto l’umiltà di rendere conto ai veneti del valore creato da Fratelli d’Italia a livello nazionale. È mancata la cinghia di trasmissione. Mentre la Lega faceva campagna per tutta l’estate, noi dov’eravamo? Pensavamo che bastasse il nome di Giorgia?».
Quale scenario immagina ora per FdI in Veneto?
«Una seria e responsabile analisi. Le responsabilità vanno accertate. Questo momento può essere decisivo per il futuro».
Ci sarà una resa dei conti interna?
«Non mi piace questo il termine. In un partito si parla sempre di responsabilità. Però ora ci deve essere il luogo del confronto: se non si analizzano le sconfitte, i problemi non si risolvono. E bisogna farlo, con onestà intellettuale. Io sento la responsabilità di non aver confermato la leadership in Veneto. Se la sento io, dovrebbero sentirla anche coloro che hanno ruoli più importanti di me. Adesso serve un chiarimento delle responsabilità. Perché, lo ripeto, con questo risultato rischiamo di fare un danno anche al governo, al ruolo di Fratelli d’Italia come partito guida della coalizione di centrodestra e al rapporto con gli alleati».
Si aspetta cambiamenti, negli uomini o nei metodi?
«In entrambi».
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