Debito elevato, crescita debole: la pagella di Bruxelles su un’Italia che fa fatica e investe poco
L’analisi di Bruxelles non chiede interventi non già previsti, concede che la crescita («moderata») sta rimbalzando lentamente dal livello minimo e l’inflazione è sotto controllo. Nulla è tuttavia acquisito, le prospettive sono minacciate dagli incerti sviluppi globali, cioè dalla politica commerciale di Trump


L’Italia «continua a soffrire di squilibri» e, «nel complesso, le sue vulnerabilità rimangono rilevanti». Le pagelle economiche di primavera della Commissione Ue rivelano che si sono avuti progressi verso tutti gli obiettivi di rilancio e riforma che il Bel Paese ha accettato di darsi, eppure «la prestazione è sotto la media dell’Unione».
Vuol dire che si avanza, che c’è in effetti una vitalità di fondo, ma nei meccanismi del sistema nazionale gli ingranaggi non girano come dovrebbero e potrebbero. Per due ragioni, soprattutto, gravi quanto note e alla luce del sole da anni: «L’elevato debito pubblico e la debole crescita della produttività».
Non c’è molto della narrazione trionfale con cui il governo racconta la congiunturale della Penisola. L’analisi di Bruxelles non chiede interventi non già previsti, concede che la crescita («moderata») sta rimbalzando lentamente dal livello minimo e l’inflazione è sotto controllo. Nulla è tuttavia acquisito, le prospettive sono minacciate dagli incerti sviluppi globali, cioè dalla politica commerciale di Trump.
Lo scorso anno il Pil è cresciuto dello 0,7%, fra export in frenata (effetto recessione in Germania) e investimenti fiacchi. L’attività industriale è apparsa in caduta. Così, suggeriscono i tecnici di Bruxelles, ci sono tre esigenze da scolpire nella pietra: completamento delle riforme, sostegno agli impieghi e politica di bilancio prudente. Oltre ad accelerare l’attuazione del Pnrr, ovviamente.
I malanni italiani sono cronici quanto la flebile disponibilità ad affrontare davvero alcune questioni centrali. Nel capitolo fiscale, la ricetta a dodici stelle richiede interventi per rendere il sistema di tassazione più favorevole alla crescita, contrastando ulteriormente l’evasione, riducendo il cuneo fiscale e la contribuzione che si giudica disallineata agli obiettivi. Qui ricompare un richiamo che Bruxelles recapita tutti gli anni - aggiornare i valori catastali con una ampia revisione delle politiche abitative – e che Roma finge puntualmente di non aver ricevuto.
La Commissione riconosce che i conti pubblici sono ancorati, giudizio che non basta a dire che siamo nell’universo della sostenibilità, perché «l’elevato debito pubblico è un freno agli investimenti». I vincoli di spesa impediscono due mosse fondamentali: interventi sul mercato del lavoro e spinta all’innovazione. Qui ci siamo poco o punto, e i rilevi piovono copiosi, riguardano i freni possibili ai prezzi dell’energia come la spesa per la salute inferiore alla media.
L’occupazione non somiglia ai tweet di palazzo Chigi. I numeri assoluti migliorano, ma il tasso di partecipazione appare basso, in particolare fra donne e giovani. Il mercato del lavoro “segmentato” paga produttività stagnante e disaccoppiamento marcato delle competenze (le imprese non trovano la qualità che cercano), col risultato che la competitiva è sotto stress. C’è di peggio: «I salari inadeguati contribuiscono a diffondere del lavoro povero». Si invocano contratti stabili. Nonostante il taglio, il cuneo fiscale resta parecchio oltre media Ue.
L’esperienza suggerisce che fra un anno le pagelle di Bruxelles, che somigliano a quelle del 2024, hanno buone possibilità di non essere troppo differenti delle attuali. Purtroppo. Se però si potesse esprimere un desiderio, sarebbe auspicare una uscita dell’Italia dalla condizione di “innovatore moderato” che la spesa per Ricerca e Sviluppo all’89,6% della media Ue le attribuisce.
Le pagelle denunciano «una carenza di dinamismo» nei settori del futuro, ci fanno ultimi per laureati in tecnologia, i terzi peggiori per educazione alto livello scientifico. Coi malanni del presente, in qualche modo, possiamo pensare di poterla spuntarla. Con quelli dell’avvenire, sarà più dura. Innovare si deve, formare è imprescindibile. Presto o tardi l’economia, se non gli elettori, potranno chiedere il conto delle distrazioni della politica. Che tutto potrà dire, meno di non essere stata consigliata e avvisata.
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