Von der Leyen a Sarajevo: «Bosnia candidata all’Ue, un treno da non perdere»
L’incontro con Vučić: «Politica estera e sicurezza, Belgrado si allinei a Bruxelles»

BELGRADO La porta rimane aperta, malgrado le voci che suggeriscono che si tratti soltanto di un fuoco di paglia. Ma l’occasione, se veramente c’è, non va assolutamente perduta, perché sarà forse l’ultima che ci si può attendere nel prossimo futuro. Si può sintetizzare così il messaggio più importante lanciato a Sarajevo dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, in Bosnia-Erzegovina ieri per una delle tappe più attese del suo mini-tour balcanico che vede inserite tutte le capitali-chiave della regione nel programma di viaggio. Per la Bosnia, ha ricordato von der Leyen, la Commissione Ue a sorpresa ha raccomandato nelle scorse settimane la concessione dello status di Paese candidato all’adesione.
Un passo atteso da anni che potrebbe concretizzarsi al summit dei leader europei, a dicembre, a patto che le élite politiche nazionali si mettano al lavoro e soddisfino svariate richieste della Ue su riforme, stato di diritto, giustizia e lotta a crimine e corruzione. Bisogna fare presto ed è necessario che tutti - serbi, croati e bosgnacchi - lavorino insieme per centrare l’obiettivo, perché la Bosnia «ha una opportunità che capita una volta in una generazione», ha rimarcato von der Leyen. «La strada che porta all'Europa è chiara e la porta è aperta», sta però «a voi attraversarla, questa è la vostra responsabilità storica come nuovi leader della Bosnia-Erzegovina», è il forte messaggio che la leader Ue ha lanciato ai numero uno della politica locale usciti dalle urne del 2 ottobre.
Un messaggio relativamente rassicurante, dietro al quale si celano timori di un possibile nuovo smacco a Sarajevo, a dicembre. È questa la paura che circola in Bosnia, assieme alle voci - confermate dal generalmente bene informato portale Klix - secondo le quali Francia, Paesi Bassi ma anche Germania sarebbero assai restii a premiare il Paese balcanico entro la fine dell’anno malgrado le forti pressioni in questo senso da parte di altri Stati membri, come Austria e Slovenia. Di questa ritrosia sarebbero colpevoli le leadership nazionali in Bosnia, sempre conflittuali e divise da steccati etnici e che avrebbero in effetti fatto poco o nulla negli ultimi anni per far avanzare verso la Ue un Paese che «non vi entrerà per com’è messo neppure tra 60 anni», ha sentenziato ieri il membro serbo uscente della presidenza tripartita, il nazionalista Milorad Dodik.
La Ue, malgrado i ritardi, vuole però accogliere i Balcani nella sua «famiglia», ha assicurato in questi giorni von der Leyen, ricordando che Bruxelles ha «aperto i negoziati di adesione con l'Albania e la Macedonia del Nord». Ma molto rimane da fare e tante sono le promesse ancora non rispettate. Quella più urgente riguarda il Kosovo, che «merita la liberalizzazione dei visti», ha detto nella tappa a Pristina la presidente della Commissione, auspicando che la “guerra delle targhe” che incombe non destabilizzi di nuovo l’area.
C’è poi il Montenegro, dove von der Leyen arriverà oggi, nazione in pole position per l’adesione ma alle prese con una duratura crisi politica che sta infiammando il Paese. E infine la Serbia, pedina decisiva nella Regione, sempre scissa tra Europa e Russia. Ma Belgrado, per continuare sulla rotta europea, deve veramente «condividere gli stessi valori, andare nella stessa direzione degli altri nelle decisioni politiche, essere in linea con la nostra politica estera e di sicurezza comuni», ha ricordato von der Leyen ieri a Belgrado, mentre il presidente sebo Aleksandar Vučić ha assicurato che la Serbia non ha alcuna intenzione di abbandonare l’obiettivo strategico, l’adesione: «La Serbia è sulla strada verso l'integrazione europea e in futuro tale percorso sarà ulteriormente accelerato», ha precisato Vučić.
Nel frattempo, l’Ue non sta a guardare. Ammontano a mezzo miliardo di euro - è l’annuncio di questi giorni - i nuovi fondi destinati ai Balcani per investire in interconnessioni, per acquisti comuni di gas e per ridurre l’indipendenza da Mosca, un sostanzioso «pacchetto sulla sicurezza energetica». Non solo investimenti e aiuti. Bruxelles intende spianare la strada anche alla presenza fissa di personale Frontex alle frontiere tra Balcani e Ue, per arginare i flussi di migranti via Rotta balcanica, di nuovo in preoccupante crescita.
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