Il rischio di una nuova guerra nella Bosnia divisa in due

Nella disattenzione generale un nuovo teatro di crisi si sta aprendo in Europa e coinvolge di fatto la Russia e il suo più stretto alleato nel continente, l’Ungheria

Peppino OrtolevaPeppino Ortoleva
Il memoriale per le vittime di Srebrenica
Il memoriale per le vittime di Srebrenica

Nella disattenzione generale un nuovo teatro di crisi si sta aprendo in Europa, in quella Bosnia dove trent’anni fa si era combattuta una delle più terribili guerre degli ultimi decenni, la sola che il continente abbia conosciuto tra il 1945 e il 2022. Da quando Putin ha invaso l’Ucraina, e tanto più dopo l’ascesa alla presidenza degli Usa di un politico della prepotenza e incompetenza di Trump, i fronti di conflitto nel mondo si sono venuti moltiplicando. Oltre all’area ex-sovietica e al Medio Oriente, alle guerre dimenticate in Sudan e Congo orientale, siamo andati vicini a un pericoloso scontro tra India e Pakistan, ed è concreto il rischio di un’aggressione cinese a Taiwan. Della Bosnia si parla poco, ma la crisi che si sta aprendo coinvolge di fatto la Russia e il suo più stretto alleato in Europa, l’Ungheria.

Nella repubblica nata dalla fine della ex Jugoslavia nel 1992-95 infuriò una guerra su basi etnico-religiose tra popolazioni di origine serba e popolazioni bosniache di fede musulmana - con la minoranza croata tendente a ricavarsi uno spazio - che portò a forme di pulizia etnica. Restano nella memoria l’assedio serbo di Sarajevo e il massacro di Srebrenica, dove ottomila uomini di religione islamica furono massacrati con la complicità delle truppe Onu che avrebbero dovuto difenderli, e il comandante serbo Mladić è stato condannato all’ergastolo dal tribunale dell’Aja per crimini contro l’umanità.

Nel 1995 fu ristabilita la pace con gli accordi di Dayton, su basi fragilissime. La Bosnia è stata divisa tra due entità separate che concorrono attraverso complicati procedimenti al governo unitario: la federazione di Bosnia ed Erzegovina a maggioranza musulmana ma comprendente una cospicua minoranza croata, e la repubblica dei serbi di Bosnia. Due stati in un solo stato, di fatto, con la repubblica dei serbi tendente ad allinearsi sistematicamente con la Serbia a capitale Belgrado, e soprattutto con lo storico alleato-protettore, la Russia di Putin.

Nel 2023 il presidente della repubblica dei serbi, Milorad Dodik, è stato messo sotto accusa per avere promosso una secessione del “suo” stato dalla Bosnia, e in febbraio è stato condannato in primo grado, cosa che dovrebbe portare alla sua decadenza, e ne è stato ordinato l’arresto.

Con una mossa senza precedenti, l’Ungheria di Orbàn ha inviato militari in territorio bosniaco per difendere Dodik, e di fatto Ungheria e Russia sono pronte non solo a impedire l’arresto ma a sostenere la secessione serba dalla Bosnia.

Questo porterebbe alla riapertura di una divisione tragica tra popolazioni coesistenti, con il rischio di una guerra vera e propria nel cuore dell’Europa nella quale Putin - al quale Dodik si dichiara fedelissimo - potrebbe trovare ampio spazio, mentre la Serbia cerca per ora di non impegnarsi direttamente, forse soprattutto per la fragilità della presidenza Vučić scossa da mesi di proteste.

Finora, l’Unione Europea non si è fatta sentire, ma un paese che ne è membro, l’Ungheria, è in diretta connivenza con Putin. Se non si trova il modo di disciplinare o emarginare chi agisce come Orbàn, la capacità dell’Ue di preservare la pace è gravemente compromessa. —

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