Uck, prima sentenza del Tribunale speciale per il Kosovo: 26 anni all’ex comandante Mustafa

Il Tribunale speciale per il Kosovo lo ha condannato per crimini di guerra su persone di etnia albanese
Stefano Giantin

BELGRADO Una sentenza storica e destinata a far discutere a lungo. È quella emessa dal cosiddetto Kosovo Specialist Chambers, tribunale speciale creato sette anni fa con sede all’Aja, ma che opera sulla base dei codici kosovari e con giudici stranieri. E che ha l'ostico compito di indagare ed eventualmente punire i crimini di guerra che sarebbero stati commessi da membri dell’Esercito di Liberazione del Kosovo (Uck) nel periodo che va dal 1998 al 2000.

Di crimini, almeno in un caso, ve ne sono stati. È quanto ha messo nero su bianco ieri la Corte pronunciando la sua prima condanna in assoluto per crimini di guerra. È quella, di primo grado, che ha punito con 26 anni di galera Salih Mustafa, al tempo dei fatti a lui attribuiti un altissimo esponente dell’Uck e dal 2020 in carcere. Mustafa, nome di battaglia “Cali” al tempo del conflitto con le forze serbe, è stato condannato dai giudici per detenzioni arbitrarie, torture e omicidio nell’ambito di una «impresa criminale congiunta», sia come colpevole diretto dei reati sia perché primo responsabile nella catena di comando. Il condannato, che si è sempre detto innocente, ha già annunciato che presenterà appello.

I fatti relativi al processo si riferiscono a quanto accaduto in una base Uck nel villaggio di Zllash/Zlaš, controllato dall’unità comandata direttamente da Mustafa durante tutto il conflitto. Base, ha stabilito il tribunale, dove vennero compiuti crimini efferati contro «almeno sei persone» di etnia albanese «fermate dall’Uck e private della libertà», segregate nella base «senza che venisse loro data spiegazione o che potessero opporsi alla reclusione», si legge nella sentenza. La loro colpa? Quella di essere considerate «spie dei serbi, collaborazionisti, traditori». La punizione? Mustafa e i suoi subalterni li sottoposero a «trattamenti degradanti, lasciandoli senza acqua, senza cibo e cure mediche, senza vestiti di ricambio». Poi inflissero loro vere e proprie torture per «estorcere informazioni o confessioni», procedure che impressero nei sopravvissuti ferite «fisiche e psicologiche» che dureranno per sempre. Non si dimenticano, infatti, bruciature di sigarette, elettroshock, botte con mazze da baseball, carcerieri che urinano sui detenuti, giorni e notti in una sorta di fienile sporco e malsano, a dormire tra le feci di animali.

Ci fu anche una vittima. Era un prigioniero, deceduto a causa dei «gravi maltrattamenti» inflitti dai membri del gruppo di Mustafa e al quale fu negata assistenza medica.

Mustafa non era solo colui che dava gli ordini, ma secondo la Corte partecipò personalmente a due interrogatori e alle relative sevizie, inscenando anche una «finta esecuzione», tutti fattori che per i giudici hanno costituito «un’aggravante». I giudici, dopo aver emesso la sentenza contro Mustafa, hanno voluto ringraziare «l’enorme coraggio dei testimoni» che hanno permesso che il procedimento andasse avanti, malgrado siano stati «bollati in Kosovo come traditori» e sottoposti a minacce e intimidazioni, un problema serissimo in procedimenti del genere, che spiega anche perché il tribunale sia dovuto “emigrare” all’Aja.

In Kosovo la condanna è stata accolta con rabbia e incredulità. «Ingiustizia per tutta la nazione», l’ha definita il ministro Liburn Aliu, mentre il politico Besnik Tahiri ha sottolineato che «la guerra dell’Uck fu per la libertà e contro il regime» di Milosević. Auspicando che l’appello ribalti tutto.

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