Torna d’attualità il “Watergate sloveno”: nei guai l’ex capo dell’Antiriciclaggio
La tv N1 annuncia l’apertura di un’inchiesta a carico di Zugelj
L’ipotesi di un’intesa segreta siglata a suo tempo fra Janša e Vucic

LUBIANA Sembrava dovesse finire nel dimenticatoio, archiviato come scandalo non scoppiato per intero. Invece il caso sta tornando d’attualità, gravido di serie conseguenze anche a livello internazionale senza contare quelle giudiziarie. Si tratta di quello che è stato battezzato il “Watergate sloveno” - meglio, serbo-sloveno -, un complesso affare che avrebbe come protagonisti anche l’attuale leader dell’opposizione di centrodestra a Lubiana, Janez Janša, e il presidente serbo, Aleksandar Vučić, che secondo una ipotetica lettura degli eventi potrebbero essere le eminenze grigie interessate a impossessarsi anche in maniera illegale di informazioni compromettenti sui propri avversari.
Ieri, un importante sviluppo a sorpresa. Secondo informazioni diffuse dalla tv regionale N1, l’Ufficio nazionale sloveno per le indagini (Niu) avrebbe messo sotto indagine e posto sotto accusa per «abuso d’ufficio» - un’imputazione che potrebbe condurlo in carcere fino a tre anni - l’ex potentissimo numero uno dell’Ufficio governativo per la prevenzione del riciclaggio di denaro sporco, Damjan Zugelj, e alcuni suoi collaboratori.
Zugelj è il nome-chiave in questa vicenda. Come ha ricordato ieri l’agenzia di stampa slovena Sta, secondo inchieste giornalistiche sarebbe stato proprio l’Ufficio guidato allora da Zugelj a lanciare, nel 2021, quando Janša era ancora al potere, una vasta indagine su spinta di una misteriosa lettera anonima. Indagine, ha scritto la Sta, che ha portato l’Ufficio anti-riciclaggio di Lubiana a inviare quasi 240 richieste a numerose banche per avere accesso alle transazioni relative a 195 conti correnti appartenenti sia a persone fisiche sia a imprese, con parte dei documenti ricevuti dagli istituti di credito che sarebbe poi sparita, ha sostenuto il portale di giornalismo investigativo Necenzurirano. Era stato proprio quest’ultimo a lanciare la bomba, svelando il potenziale scandalo. Dietro le mosse di Zugelj infatti si sarebbe celato un vero e proprio accordo tra Janša e Vučić, con il primo interessato alla vigilia delle elezioni parlamentari in Slovenia a mettere le mani su qualche informazione scottante relativa alla Gen-I, l’impresa ai tempi guidata da colui che sarebbe diventato poi premier, Robert Golob, per metterlo in difficoltà in vista della gara politica.
Secondo le informazioni circolate in primavera, Janša sarebbe stato interessato anche a sapere qualcosa di più sui conti di Branko Cakarmis, direttore generale di Pro Plus, che controlla le emittenti Kanal A e Pop Tv, su cui va in onda da anni il talk show “anti-Janša” 24Ur. Vučić a sua volta avrebbe voluto dare un’occhiata alle transazioni di Dragan Djilas, uno dei suoi più fieri avversari politici, e soprattutto su Dragan Solak, tycoon dei media - controlla anche N1 - e vera nemesi di Vučić.
Menzogne, aveva subito rigettato con sdegno gli addebiti Janša, parlando di «insinuazioni assurde», mentre Zugelj, quando il caso era esploso, nel maggio scorso, aveva parlato di «accuse false» e indagini «lanciate su richiesta dei media» solo per screditarlo. Più cauto era stato Golob, oggi premier della Slovenia, che aveva sottolineato che, se le accuse fossero state provate, si sarebbe trattato del più grande abuso d’ufficio della storia nazionale. A questo punto si va verso un chiarimento, in un senso o nell’altro: la Procura speciale nazionale dovrà decidere, ha spiegato N1, se Zugelj e i suoi associati dovranno andare o meno a processo.
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