Strage nella scuola di Belgrado, mercoledì riaprono i cancelli: tante le famiglie contrarie «Lo choc non è superato»
Per la maggioranza dei genitori dei ragazzi iscritti alla Ribnikar rientrare così presto in classe esporrebbe i loro figli a un altro trauma

BELGRADO Un faticoso ritorno alla normalità, tra dolore, paure, discussioni e polemiche. Continuano inevitabilmente a tenere banco, in Serbia, le conseguenze delle orribili stragi che hanno ferito il Paese la settimana scorsa, con un bilancio di 17 morti, in particolare quella alla scuola elementare-media Ribnikar, di Belgrado. Scuola in cui, ricordiamo, un ragazzino di soli tredici anni ha aperto mercoledì il fuoco con la pistola del padre contro otto alunni e il custode dell’istituto, uccidendoli.
L’istituto rimane chiuso e presidiato da alcuni poliziotti, mentre davanti ai cancelli non si è arrestata la processione civile di migliaia e migliaia di belgradesi, che continuano a portare fiori bianchi e ad accendere candele in memoria delle vittime. Ma il quadro deve cambiare, bisogna tornare alla normalità, hanno stabilito le autorità. Domani la Ribnikar riaprirà così i battenti, è stato annunciato, riaccogliendo centinaia di studenti, che potranno contare su un programma di assistenza psicologico di gruppo e individuale.
Non tutti però sono d’accordo e tanti chiedono di non forzare i tempi. Alcuni professori si sono offerti di fare lezione all’aperto, nei parchi. E «quasi il 60% dei genitori ha chiesto che non si torni in quella scuola domani, e ha fatto appello a ricostruirne una nuova, affinché i ragazzi non vengano traumatizzati per la seconda volta», ha sostenuto a Utisak Nedelje, uno dei talk show più autorevoli a Belgrado, Vojin Saljić, padre di una bambina di otto anni.
La pensano così in tanti, genitori ed esperti, come la psicologa Marina Banić, che ha ricordato che negli Stati Uniti, ad esempio, «i ragazzi non tornano in una scuola dove è avvenuto un massacro prima di due settimane, alcuni addirittura dopo anni».
I piani delle autorità sembrano però irrevocabili, malgrado anche il dirigente delle scuole belgradesi, Dragan Filipović, abbia ammesso che «da anni quella scuola aveva bisogno di un restauro», ma spostare gli alunni ora sarebbe controproducente, anche se tornare sul luogo del massacro «non è facile. Stiamo comunque organizzando tutto quello che è necessario» per facilitare il ritorno.
«Nessuno insiste» per il rientro, chi non è pronto stia a casa, ma ci sono «anche tanti genitori che chiedono» la riapertura, ha precisato ieri il ministero dell’Istruzione, suggerendo che domani non sarà un normale giorno di lezione, ma più un abbraccio collettivo tra i ragazzi. «Chiudere tutte le scuole» in anticipo, ha detto invece l’intellettuale Biljana Srbljanović.
Tornare sui banchi non è facile neppure nelle altre scuole della capitale. Ieri, dopo giorni di lezioni a singhiozzo e scioperi a macchia di leopardo, migliaia e migliaia di bambini e ragazzi sono rientrati in classe, dopo aver visto all’ingresso dei loro istituti e all’interno almeno uno o due agenti di polizia, sguinzagliati nelle scuole su ordine del governo. Si tratta di una misura di sicurezza necessaria, ha spiegato la funzionaria della polizia Danijela Ostojić, per tranquillizzare genitori e allievi ma anche per dare un segnale, dopo che negli ultimi giorni sono stati «più di 120» le segnalazioni «per minacce a studenti» o alla sicurezza pubblica da parte di presunti emulatori.
Nel frattempo, a sorpresa, è caduta una testa. È quella del ministro dell’Istruzione, Branko Ruzić, che si è dimesso. Nel frattempo il dolore e lo choc, a Belgrado, non sembrano ancora superati, neppure dopo tre giorni di lutto nazionale, mentre ora le stragi diventano anche questione politica, con le opposizioni in piazza. st.gi.
Riproduzione riservata © il Nord Est