Bulgaria verso la zona euro, ma crescono le proteste
Atteso il via libera da Bruxelles per la moneta unica dal 2026. I partiti nazionalisti soffiano sulla rabbia popolare dei contrari: «Teniamoci il lev»

Un obiettivo importantissimo, un sogno coltivato da anni finalmente a portata di mano dopo tanti passi falsi e ritardi: questa l’opinione delle autorità al potere e di una fetta consistente della popolazione. Una iattura, da contrastare prima che sia troppo tardi, la replica di metà dell’elettorato, di associazioni e partiti di indirizzo nazionalista e populista, con malcelate venature filorusse.
È lo scenario che si sta concretizzando in Bulgaria, Paese membro dell’Ue dal 2007 e in Schengen dal 2025, che a partire dal 2026 dovrebbe entrare a far parte anche del club della moneta unica, un successo non da poco per quella che ancor oggi viene definita, dati alla mano, la nazione più povera dell’Unione in termini di Pil pro capite.
La luce verde, secondo le voci che circolano a Bruxelles, dovrebbe arrivare già questa settimana, quando la Commissione europea e la Banca centrale europea (Bce) potrebbero annunciare che il dado è finalmente tratto, spianando la strada all’ingresso di Sofia nell’Eurozona a partire dal gennaio del 2026. Se così sarà, il passo andrà letto come il coronamento di anni di riforme e di ricerca della stabilità finanziaria, il tutto dopo l’ingresso nel meccanismo europeo di cambio, il cosiddetto Erm II e con il lev, la valuta ufficiale a Sofia, con tasso ormai fisso a 1,955. Insomma tutto bene, obiettivo dietro l’angolo, bisogna solo prepararsi per i festeggiamenti.
In realtà, non è così, in un Paese dove l’opposizione all’euro, dai connotati anche politici e alimentata da paure su carovita e crescita della povertà, è sempre più forte. Lo si è visto nei giorni scorsi durante la manifestazione all’insegna del «Vogliamo i nostri leva, vogliamo un referendum» sull’euro, il titolo della grande protesta a Sofia e in decine di altre località in tutta la Bulgaria, con repliche anche ieri.
A soffiare da tempo sulla rabbia popolare, partiti nazionalisti come Vazrazhdane (Rinascita), il Vmro e Velicie (Grandezza), con i loro sostenitori che hanno assicurato durante la marcia a Sofia «di non essere filorussi», ma solo «patrioti» che vogliono essere consultati sull’addio al lev, «con un referendum».
«Vogliamo salvare il lev bulgaro» e con esso «la libertà della Bulgaria», ha arringato la folla Kostadin Kostadinov, il leader di Vazrazhdane, movimento anti-vax, ostile ai diritti Lgbt e bollato da analisti e politologi come anti-Ue e anti-Nato. Ma il no all’euro viene anche da parte delle élite al potere. «Le proteste, i sondaggi, il dibattito in corso dimostrano chiaramente che i bulgari vogliono che la loro voce venga ascoltata», il messaggio del presidente bulgaro, Rumen Radev, che ha evocato l’idea referendum, ma la Consulta ha chiuso le porte alla consultazione popolare. Riferimento ai sondaggi, quello di Radev, che è importante, perché spiega bene la polarizzazione della società bulgara, sul tema euro.
Un Eurobarometro, ad esempio, ha suggerito che solo un 43% dei bulgari sarebbe a favore dell’euro, contro un buon 50% di contrari. Forse costituito solo da persone che non comprenderebbe l’importanza della moneta unica, ha suggerito tra le righe con una certa malizia il premier Jeliazkov. Un referendum oggi sarebbe «controproducente», deve esserci invece «fiducia che l’euro porterà benefici alla nostra economia», senza ascoltare sirene che portano fuori rotta, o «paure instillate» ad hoc nella popolazione, la versione del premier. Ma metà Bulgaria non ci crede. —
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