Serbia e Ungheria accelerano sull’oleodotto per il greggio russo

Colloqui fra i ministeri dei Paesi interessati: ipotesi cantiere dal 2026. Ma l’Ue non starà a guardare

Stefano Giantin
Un oleodotto: l’Ungheria e la Serbia avanzano con il progetto
Un oleodotto: l’Ungheria e la Serbia avanzano con il progetto

È visto come il fumo negli occhi per Bruxelles, che lo considera il cavallo di Troia dei russi nel cuore dell’Europa, ma sta diventando una priorità assoluta e indifferibile per un “discolo” nelle fila della Ue – l’Ungheria di Orban. E per un Paese balcanico che, sulla carta, aspira all’adesione, ma non riesce a rompere gli storici legami con Mosca, la Serbia di Vučić.

Oggetto della tenzone, un futuro oleodotto – progetto già evocato in passato – che dovrebbe andare presto a collegare appunto Ungheria e Serbia, consentendo al Paese balcanico di garantirsi un prezioso e allo stesso problematico link con il sistema Druzhba, una vasta rete, che si sviluppa per circa 4 mila chilometri, nata ai tempi dell’Urss per far affluire greggio sovietico, oggi russo, nell’Europa centro-orientale. Rete che, finora, non aveva toccato la Serbia.

Ma il quadro dovrebbe cambiare a breve. Lo ha svelato il ministro degli Esteri magiaro, Peter Szijjarto, che ha confermato che Budapest starebbe già «negoziando» con «partner russi e serbi» per la realizzazione del collegamento tra Ungheria – dove già oggi è attivo un ramo del Druzhba – e appunto la Serbia. Anche se la Ue sta da anni cercando di affrancarsi dalla dipendenza dall’energia russa, petrolio incluso e «taglia i collegamenti e blocca le rotte, noi abbiamo bisogno di più fonti e di più rotte», ha aggiunto Szijjarto.

Ne ha bisogno anche la Serbia, oggetto di sanzioni Usa – per ora sospese – che potrebbero colpire il suo gigante degli idrocarburi controllato da Gazprom, la Nis, che ottiene gran parte del greggio per le sue raffinerie via Croazia. Se tuttavia il rubinetto croato venisse chiuso, cosa fare? Una delle possibili opzioni è appunto quella di ricevere greggio russo via Ungheria. Che il piano sia questo lo ha confermato anche la ministra serba dell’Energia, Dubravka Djedović Handanović, che ha definito il futuro oleodotto Serbia-Ungheria come la via per «collegarsi al più grande sistema europeo» di rifornimento di greggio e come una preziosa «alternativa» per garantire a Belgrado la «sicurezza energetica».

Parole vuote? Non sembra. Szijjarto e Djedović Handanović hanno avuto nei giorni scorsi colloqui con il viceministro russo per l’energia, Pavel Soroki, e a inizio luglio è stato siglato un accordo di massima sulle specifiche tecniche del futuro gasdotto. Di cui però ancora si sa pochissimo. Si sa che la sua realizzazione dovrebbe essere affidata alla serba Transnafta e all’ungherese Mol. La capacità annua di trasporto dovrebbe toccare i cinque milioni di tonnellate. Secondo il portale specializzato Bne Intellinews, la costruzione – dopo l’accelerazione di questi giorni – potrebbe iniziare nel 2026 e il nuovo oleodotto “russo” nel cuore dell’Europa esser pronto per il 2027-28.

Oleodotto della discordia e dell’incertezza, perché difficilmente Bruxelles resterà a guardare, mentre si rafforza la convinzione che le rotte del petrolio grezzo russo sono sempre più precarie. Il sistema Druzhba è «a rischio attacchi» nel contesto della guerra in Ucraina, ha ricordato già due anni fa un’analisi dell’autorevole Belgrade Centre for Security Policy. Che ha anche previsto che «potremmo aspettarci che l’Ue inizi a esercitare maggiori pressioni sull’Ungheria», rendendo «impossibile per la Serbia ottenere petrolio russo» dall’Ungheria stessa, ha avvisato il think tank. —

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